Nelle scorse ore ha suscitato facile e sciocca ironia l’annuncio da parte del ministro del Lavoro Luigi Di Maio dell’abolizione della regola dei due mandati per gli eletti. Da sempre uno dei cardini del Movimento 5 Stelle, è stato visto da tanti come l’abiura di un principio cardine della formazione, pensato per evitare l’eccessivo attaccamento alla poltrona e per non trasformare la nuova classe dirigente pentastellata in politici di professione, come tutti i colleghi da sempre criticati dai Casaleggio Boys.
Di Maio, però, non la pensa così, e in un video diventato già un’opera d’arte contemporanea ha argomentato la bontà del provvedimento. Per farlo ha introdotto una nuova categoria dello spirito: il mandato zero. Grazie a esso i consiglieri comunali e di municipio del Movimento – e solo loro – potranno ricandidarsi ed essere eletti per la terza volta, o meglio per la seconda a cui però se ne aggiunge un’altra che non vale, come ha detto lo stesso politico campano.
“Se tu vieni eletto consigliere comunale o di municipio al primo mandato e lo porti avanti tutto e poi decidi di ricandidarti e non diventi né presidente di municipio né sindaco, allora il tuo secondo mandato, quello precedente, cioè il mandato zero, non vale”, ha spiegato. “Se invece ti ricandidi come sindaco e vieni rieletto sindaco, allora a quel punto quello è il tuo secondo mandato e lo fai da sindaco per cambiare la tua città in cinque anni anche grazie all’esperienza che hai maturato nel tuo primo mandato”.
Al di là di ogni possibile invidia per la creatività contabile di Luigi Di Maio, e di un odio cieco per la forza di maggioranza di governo che non ci appartiene né apparterrà, vogliamo qui tributare un plauso per un’intuizione dal sapore rivoluzionario. Che, però, non nasce dal nulla, ma che, forti di una tradizione politica e culturale solida, i Cinque Stelle hanno mutuato da alcuni illustri precedenti “popolari”. Vediamo quali.
La prima non vale
A ping pong, come in numerosi altri sport, è fondamentale una dose di riscaldamento, per testare la propria sensibilità con la racchetta e prendere le misure del campo. Per questo in ogni sfida che si rispetti, prima ancora di scodellare la pallina con le mani e senza concedere la possibilità di schiacciare, è garantito una prima mano di prova, o pallina-zero, appunto. Non concederla da parte di uno dei due atleti è considerato un’inaccettabile scorrettezza secondo i rigidi codici della disciplina. Che Luigi Di Maio, decoubertiniano convinto, ha meritoriamente deciso di portare in politica.
Un tocco a terra
Nessuno conosce l’origine e il senso profondo della pratica, ma per chi ha giocato almeno una volta a calcetto, su un sintetico ipercurato oppure nel prato sotto casa, c’è una regola sacra come le Scritture. Se non c’è il portiere, cosa che capita praticamente sempre, tra i pali si gira. Nella speranza che non si palesi il solito finto invalido che afferma di aver lasciato un dito nella portiera la sera prima o di essersi affettato tagliando il melone. Per dirimere la questione, al di là di alcune pratiche barbare tra cui sedersi per terra all’improvviso e l’ultimo che rimane in piedi si attacca oppure gridare “io no” più velocemente possibile, vige la buona vecchia conta, che fanciulletti ci riscopre ogni volta. Ci si mette in cerchio e si butta giù un numero con le dita, dichiarando da chi si parte e in quale senso si gira. Poi si inizia a contare, ma non prima di aver “toppato” a terra l’uno. Ancora una volta, dunque, ecco il giro-zero in porta, che nessun azzeccagarbugli estratto a sorte si sognerà di contestare. Meglio piuttosto autosegarsi un dito a pranzo per evitare la pena dei cinque minuti tra i pali.
L’infrazione di passi
Come spiegato dalla pagina “La giornata tipo”, che ha curato anche il video di spiegazione qua sopra, il basket è arrivato prima di tutti gli altri ad istituzionalizzare a livello internazionale l’esistenza di un passo-zero, che non viene conteggiato e quindi non porta con sé sanzioni. In pratica funziona così: il movimento del piede che si ha a terra nel momento in cui si riceve il pallone non rientra nel conteggio dei passi consentiti senza palleggiare, che sono due oltre a quello iniziale. La norma non è stata capita subito da tutti, per questo a distanza di anni gli allenatori italiani continuano a gridare “passiiiiiii” – suono che chiunque frequenti una palestra o un palazzetto conosce bene – o a mulinare le braccia come dei forsennati imitando il gesto dell’arbitro ogni volta che un giocatore avversario va in terzo tempo, l’azione tipica di avvicinamento al canestro. L’introduzione ufficiale della nuova regola in Europa risale al 2017, per rendere più spettacolare il gioco sul modello NBA. E proprio questo deve avere avuto a cuore Luigi Di Maio: lo spettacolo.
-1 e poi rigore
Diversa ancora la regola, ma medesima la ratio, per quanto riguarda l’undici volo. Anche chiamato undici, ventuno, tedesca o in mille altri modi a seconda di latitudini e consessi umani, prevede che un gruppo di persone si sfidi a una sola porta, in cui turnano i gareggianti. Chi sta fuori deve provare a segnare in modo, basta che colpisca la palla al volo senza farla rimbalzare per terra. In uno sport spesso caratterizzato da estrema crudeltà e mancanza di empatia verso i compagni di gioco, vige una regola apparentemente strana e che contraddice il generale clima infame. Una volta scalati tutti i propri punti di partenza – 11 o 21 che siano – per via dei gol subiti, il malcapitato che si trova in porta avrà la possibilità bonus di un’altra rete da incassare, prima di essere definitivamente eliminato. Raggiunta quota zero potrà usufruire di un singolare -1 e poi persino di un rigore, che, nel caso sia parato, riporterà l’atleta al punteggio del più basso tra quelli ancora in vita. Un’idea, quest’ultima, che Di Maio potrebbe prendere in considerazione in caso nemmeno il mandato zero bastasse più.
Chi arrizza appizza, chi appizza ammazza
Fuori dal contesto ludico, c’è un ultimo caso in cui “la prima non vale”: parliamo delle cartine contenute nel pacchetto di Rizla. È buona prassi, tra i veri professionisti del settore, buttare la prima a terra con sdegno, per poi iniziare la produzione con la seconda del lotto. E forse, a pensarci bene, è proprio qui che va cercato l’esempio ha cui ha attinto la dirigenza 5Stelle per il suo mandato zero.