A ottant’anni dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale in Europa, si torna a discutere di comunismo e nazismo. Il motivo è una risoluzione votata dal Parlamento Europeo dal titolo piuttosto anonimo Sull’importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa. Le due citazioni incriminate parlano del Patto Molotov-Ribbentrop che “avrebbe spianato la strada alla Seconda Guerra Mondiale” e dei relativi protocolli segreti “in base ai quali due regimi totalitari, che avevano in comune l’obiettivo di conquistare il mondo, hanno diviso l’Europa in due zone d’influenza”.
Queste due affermazioni sono assai discutibili sotto ogni punto di vista. Cominciamo con l’analizzare cosa è stato il patto Molotov-Ribbentrop, firmato tra Germania nazista e Unione Sovietica il 25 agosto 1939. La firma avviene pochi giorni dopo quella del trattato commerciale, siglato il 19 agosto. L’accordo arriva in un momento di grande confusione tra le diplomazie occidentali. La Gran Bretagna del premier conservatore Neville Chamberlain è disposta a tutto pur di evitare la guerra e spera di riprodurre la politica del “cordone sanitario” attorno alla Germania nazista, che dopo l’annessione della Cechia a marzo 1939 non viene più ritenuta un partner affidabile per sottoscrivere alcunché. Così ratifica accordi con Polonia, Grecia e Romania per garantire la loro indipendenza.
La Francia di centrodestra Edouard Daladier, al vertice in seguito a un ribaltone che esclude dal governo i socialisti e i comunisti, diffida della Gran Bretagna, ritenuta un Paese “senile” e poco propenso a battersi contro i nazifascisti e cerca l’aiuto degli Stati Uniti, commissionando 170 aerei da guerra al mese al governo americano. Questi ultimi invece, al di là di un benevolo sentimento favorevole alle due maggiori democrazie superstiti del continente europeo, non mossero un dito che andasse oltre gli aerei consegnati alla Francia. Sul fronte sovietico l’attitudine paranoide di Stalin lo fa diffidare dalle proposte anglofrancesi e, per meglio tutelarsi contro quello che allora era ritenuto comunque un regime “capitalista”, decide di siglare il famoso patto che lascerà sotto choc non solo il movimento comunista internazionale, ma anche l’Italia fascista, che tifa per la Finlandia finita nella sfera d’influenza sovietica.
Nei protocolli segreti, su cui si è rumoreggiato per anni, si parlava appunto di spartizione della Polonia e dei paesi baltici, oltreché della Finlandia. La dicitura “entrambi volevano conquistare il mondo” è quantomai imprecisa. Non c’è nemmeno la certezza che lo volessero fare i nazisti, che non avevano mai nemmeno teorizzato l’occupazione dell’Africa o dell’Asia, limitandosi a definire l’Ucraina come potenziale nuova “India” del Reich, a maggior ragione non c’è questa ipotesi per l’Unione Sovietica di Stalin, che a partire dal 1924 adotta la politica nazionalista del “socialismo in un solo Paese” per rafforzare il controllo del Partito comunista sul Paese. Tant’è vero che l’Holodomor, la carestia programmata che serviva a piegare la resistenza dei contadini ucraini alla collettivizzazione, e le Grandi Purghe che colpiscono i membri del Partito avvengono in periodo di pace.
Con il futuro scoppio della guerra, infatti, il controllo della polizia politica sulla società si allenta, cosa che non avvenne in nessun altra nazione prima di allora. Ma perché quindi andarsi a impelagare in un dibattito sulle origini della guerra al Parlamento Europeo? Qui c’è una questione importante sulla memoria condivisa, che però lo può essere fino a un certo punto. Se per paesi come Italia, Francia e Spagna i rispettivi partiti comunisti erano attori pienamente integrati nel gioco democratico e in alcuni casi perni del sistema (come in Italia), appena oltre la Cortina di Ferro tutto questo cambia radicalmente. A Est queste formazioni politiche si sono rese complici dello smantellamento dello stato di diritto e dell’instaurazione dei regimi totalitari filosovietici, concedendo in alcuni casi piena libertà allo spionaggio sovietico (come l’Ungheria post-1956) o mettendo un generale sovietico nella carica di ministro della difesa, riferimento rivolto a Konstantin Rokossovsky, nominato dal governo polacco nel 1949.
Perché contrariamente a quanto comunemente si pensi, la conferenza di Yalta non aveva affatto stabilito che nei paesi orientali si dovessero instaurare regimi comunisti. Fu una forzatura di Stalin. Va detto però che nella risoluzione non c’è alcun riferimento ai partiti comunisti attivi nei paesi democratici, ma soltanto allo “stalinismo” a Est, nome alquanto impreciso, specie dopo la destalinizzazione decisa da Nikita Krusciov dopo il XX congresso del Partito comunista sovietico nel 1956. Per questo la risoluzione è un assoluto pasticcio: non si citano mai due mosse effettive del regime sovietico in sostegno al regime di Hitler. Segnatamente, gli accordi commerciali firmati nel febbraio 1940 e nel gennaio 1941 che forniscono ai carri armati nazisti parte della benzina necessaria per sferrare l’attacco agli Alleati. Due patti così generosi che il carburante fornito dalla Russia staliniana alla Germania nazista viene utilizzato anche nell’invasione dell’Urss del 22 giugno 1941. Ma aldilà di questo, l’eredità del comunismo non è sintetizzabile in un solo documento. Non si riesce così nemmeno a intendere la specificità dei crimini dei due regimi, che il nazismo realizza in tempo di guerra e che invece i sovietici attuano coperti dal silenzio della pace verso il mondo esterno.
Sarebbe stato meglio lasciare produrre un documento a una commissione di storici ed esperti del periodo, anziché lasciare una materia così delicata come quella riguardante le cause del secondo conflitto mondiale alle trattative dei gruppi politici. Così non si riesce a ricordare nemmeno l’unica cosa indiscutibile di questa risoluzione, l’istituzione della “Giornata internazionale degli eroi della lotta contro il totalitarismo”, dedicata alla memoria del comandante dell’esercito clandestino polacco Witold Pilecki, autore di un rapporto sulla Shoah in corso ignorato dalla diplomazia britannica e giustiziato in segreto dai sovietici il 25 maggio 1948. Il suo ricordo avrebbe meritato qualcosa di più.