Nelle ultime settimane la Francia è tornata a puntare intensamente i riflettori sulla numerosa minoranza musulmana che vive nel Paese – tra i 5 e i 10 milioni a seconda delle diverse stime – in seguito a una serie di attacchi tra loro sconnessi, inaugurata il 16 ottobre con la decapitazione di un professore alle porte di Parigi e culminata il 29 con l’attacco alla basilica di Nizza.
Tutto è cominciato con la morte violenta dell’insegnante di storia e geografia Samuel Paty, ucciso da un rifugiato ceceno di 18 anni in quello che Emmanuel Macron ha descritto come “un tipico attacco terroristico islamista”. Qualche giorno prima Paty aveva mostrato in classe, durante un’ora di educazione civica sulla libertà d’espressione – parte integrante del curriculum educativo nazionale – qualcuna delle vignette di Charlie Hebdo che raffiguravano Maometto, tra cui una del profeta nudo. La decisione aveva fatto inferocire il padre di una studentessa, che aveva prima accusato Paty di mostrare pedopornografia in classe e si era poi ulteriormente scagliato contro di lui sui social network, pubblicando tra le altre cose l’indirizzo della scuola in cui lavorava. Dopo le lezioni l’attentatore, che era precedentemente fuori dai radar delle forze dell’ordine francesi nonostante fosse in contatto con diversi jihadisti in Siria, l’ha seguito e decapitato con un coltello per “vendicare il Profeta”.
In una Francia che deve ancora riprendersi dai 36 attacchi terroristici di matrice islamista avvenuti sul suo suolo negli ultimi otto anni, l’inaudita brutalità dell’uccisione del professore ha subito riacceso il fuoco mai sopito di tensioni sociali ancor prima che religiose. Il governo ha reagito chiudendo una grande moschea e diversi gruppi umanitari musulmani accusati di essere eccessivamente radicali, nonché ordinando dozzine di raid contro sospetti estremisti islamici. In attesa di una legge che dovrebbe arrivare a dicembre in risposta al “separatismo” – parola con cui da qualche anno la politica francese indica la tendenza di alcune sacche isolate della popolazione ad allontanarsi dalle norme culturali, religiose e sessuali del Paese, arrivando a sottrarsi alle leggi dello Stato – nel Paese è sempre più difficile affrontare il tema senza cadere nell’islamofobia o riaprire ferite coloniali.
La caccia ad eventuali individui radicalizzati, unita a diverse affermazioni controverse di Macron, che tra le altre cose ha definito l’Islam “una religione in crisi”, ha suscitato una fortissima reazione di sdegno da parte di moltissimi Paesi a maggioranza musulmana, a partire dalla Turchia di Recep Tayyip Erdoğan. “Macron ha bisogno di aiuto psicologico”, ha affermato il presidente turco. Aggiungendo poi: “Cos’altro si può dire a un capo di Stato che non comprende la libertà di credo e che si comporta in questo modo con milioni di persone che vivono nel suo Paese e che sono membri di una fede diversa?”.
Dal mondo musulmano tantissimi gli hanno fatto eco, seppure con toni più diplomatici. Il ministero degli Esteri giordano ha condannato la “continua pubblicazione di caricature del profeta Maometto con il pretesto della libertà di espressione”, denunciando poi qualsiasi “tentativo discriminatorio e fuorviante che cerchi di collegare l’Islam al terrorismo”. Parole simili sono arrivate dall’Arabia Saudita e dal ministero degli Esteri del Kuwait, che ha criticato il collegamento tra l’Islam e il terrorismo, dicendo che “rappresenta una falsificazione della realtà, insulta gli insegnamenti dell’Islam e offende i sentimenti dei musulmani di tutto il mondo”. Sia lì che in Qatar, Paese strettamente legato alla Turchia, i negozi hanno cominciato a boicottare i prodotti provenienti dalla Francia. Proteste antifrancesi hanno visto centinaia di persone scendere in piazza in Pakistan, Bangladesh e Libano, con tanto di caricature di Macron date alle fiamme.
Il commento più controverso in assoluto è però arrivato il 29 ottobre dall’ex primo ministro della Malesia Mahathir Mohamad nelle ore immediatamente successive all’attentato contro la basilica di Notre-Dame di Nizza, dove un ventunenne tunisino sospettato di movente terroristico ha ucciso tre persone. In un tweet che ha poi detto essere stato decontestualizzato, l’ex politico 95enne ha scritto che “i musulmani avrebbero il diritto di arrabbiarsi e uccidere milioni di francesi in nome dei massacri del passato”. Lo stesso giorno a Lione un uomo afghano è stato arrestato mentre aspettava il tram brandendo un enorme coltello, mentre a Gedda, in Arabia Saudita, una guardia del consolato francese è stata ferita. Sembrava che anche ad Avignone un uomo ne avesse minacciato un altro con un’arma da fuoco al grido di “Allāhu akbar”, ma si trattava in realtà di un membro di un’organizzazione dell’estrema destra identitaria.
La gran parte della comunità musulmana francese si è mostrata orripilata di fronte all’accaduto e ha immediatamente espresso vicinanza alle vittime di Nizza. Il presidente del Consiglio francese del Culto musulmano Mohammed Moussaoui ha chiesto l’interruzione delle celebrazioni del Mawlid, giorno sacro ai musulmani che onora la nascita di Maometto e che quest’anno cadeva proprio il 29 ottobre, “in segno di solidarietà”. L’attivista Yasser Louati ha sottolineato che nel momento in cui “una donna viene decapitata in una chiesa, vuol dire che la persona non ha nulla a che fare con la sfera sacra”, per gli attentatori “non ci sono limiti morali”.
Il tema è destinato a continuare a far discutere in Francia, dove il dibattito sull’assimilazione della comunità musulmana più popolosa d’Europa si trascina da decenni – almeno da quando Jacques Chirac ha passato una legge che vietava ai funzionari pubblici di indossare simboli religiosi appariscenti. Ma anche dove gli immigrati musulmani di seconda e terza generazione, discendenti in gran parte da popolazioni colonizzate dalla Francia, continuano a subire discriminazioni a livello di istruzione, alloggio e possibilità lavorative.
Al centro sta un concetto carissimo alla Repubblica francese: quello di “laicità”, con cui non si intende la proibizione del sentimento religioso, ma si chiede ai cittadini di relegarlo alla sfera privata, ponendo l’autorità dello Stato al di sopra di quelle religiose. Proprio in nome di questa laicità il governo Macron sta preparando una legge che dovrebbe essere presentata a dicembre, mirata a quelle comunità tendenti al “separatismo” (o meglio comunitarismo), dove le diseguaglianze economiche e sociali di gruppi ghettizzati portano, nei casi più estremi, alla radicalizzazione. Fin dalla sua elezione il presidente è stato ripetutamente attaccato dai partiti di destra, che lo accusano di non saper dare risposta alle sfide di sicurezza rappresentate dall’Islam radicale: questa legge vuole essere una risposta. Anche in vista delle elezioni del 2022, dove Macron si troverà con ogni probabilità a fronteggiare ancora la nazionalista Marine Le Pen.
Macron si è difeso affermando di aver già messo in piedi vari programmi per contrastare la radicalizzazione, soprattutto nei quartieri meno prosperosi del Paese. La nuova legge andrebbe però molto più in là: secondo i primi annunci includerebbe l’imposizione di rigorosi limiti all’istruzione domestica, un controllo maggiore delle scuole religiose e delle moschee e la formazione degli imam in Francia con l’obiettivo dichiarato di “liberare l’islam francese dalle influenze straniere”. Si potranno inoltre sciogliere le associazioni che promuovono idee “contrarie agli ideali repubblicani”.
Macron ha però riconosciuto che parte del problema è anche il modo in cui la Francia tratta da decenni chi proviene dalle sue ex colonie. “Abbiamo creato noi il separatismo in alcune delle nostre regioni. Abbiamo voluto concentrare persone con le stesse origini, con la stessa religione”, ha affermato, aggiungendo che questo ha creato “difficoltà economiche e educative”.