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Perché Salvini difende Putin?

Al di là del calcolo e delle simpatie personali, dietro alla vicinanza di questi giorni ci sarebbero proprio dei vincoli contrattuali tra la Lega e Russia Unita, come scrive 'Il Foglio'

Foto: Roberto Serra/Iguana Press/Getty Images; Alexei Nikolsky via Getty Images

Tutti contro Putin, in Italia, sulla morte in prigione del suo principale oppositore, Alexei Navalny. O meglio, tutti tranne uno: Matteo Salvini. «Capisco Yulia Navalny», ha detto riferendosi alla rabbia della moglie dell’attivista, «ma la verità la stabiliranno giudici e medici». E ancora: ««Difficilmente riesco a sapere cosa succede in Italia, come posso giudicare cosa è successo dall’altra parte del mondo?».

Eccolo qui, il beneficio del dubbio del leader della Lega. Che di per sé non sarebbe un’assurdità, visto che non ci sono prove su come sia effettivamente morto Navalny. Non fosse che, appunto, è morto in prigione e delle prove servirebbero, i precedenti – le personalità di spicco contrarie a Putin sono tutte scomparse in circostanze misteriose – e le tarantelle per vedere la salma fanno pensare a una storia tutt’altro che pulita, il suo garantismo sembra strumentale (per tante altre storie di casa nostra lo non era, anzi, avrebbe «buttato via la chiave») e la fiducia nei giudici russi suona macabra, come nota Michele Serra. Possibile che a stabilire la verità debbano essere la magistratura di un Paese non democratico? Appunto.

Nel frattempo, perfino i suoi alleati di governo – da Lollobrigida di Fratelli d’Italia a Tajani di Forza Italia – hanno condannato Mosca, per non parlare di Bruxelles e delle opposizioni, mentre Meloni fa sapere che si batterà per inasprire le sanzioni a livello europeo. Chiaro: non va dimenticato che anche chi sta all’esecutivo con lui, prima della guerra in Ucraina, appoggiava la Russia in ogni contesto, fino a paragonare Putin a un modello, a un leader da importare. Un dietrofront così, senza fare ammenda, non fa onore, e può essere tanto frutto di un naturale ripensamento (…) quanto di un calcolo politico o della necessità di allinearsi all’Europa. E in più le retromarce, come nel caso di Lollobrigida, sono goffe, piene di distinguo e precisazioni inutili. Però, almeno, arrivano.

Allo stesso modo, possono rispondere a una strategia anche i toni dolci di Salvini, se non altro per marcare una differenza dagli altri e cavalcare la fronda pro-Putin – piccola quanto si vuole, ma che c’è – in vista delle elezioni europee di maggio. Marketing delle nicchie. «Qual è il livello di ridicolo a cui è disposto a sottoporsi per mantenere una diversità, agli occhi dei suoi elettori o a quelli di suoi referenti internazionali?», si chiede l’Huffington Post. Una cosa è certa: quando Putin, ieri, in risposta a una studente italiana ha detto di essersi sentito «a casa» da noi, e di avere ancora «molti alleati nei Paesi ostili», specie nel nostro, sappiamo a chi si riferisce.

Nel vero senso della parola. Al di là del calcolo e delle simpatie personali, infatti, dietro alla vicinanza di questi giorni ci sarebbero proprio dei vincoli contrattuali. L’ha scoperto Il Foglio, che ha ripreso il testo della collaborazione firmato nel 2017 tra la Lega (nella persona proprio di Salvini, in un momento in cui il suo ex portavoce, Gianluca Savoini, aveva buoni agganci a Mosca) e Russia Unita, cioè il partito di Putin. Ebbene: c’è una clausola, all’interno del contratto, per cui l’alleanza si sarebbe rinnovata per altri cinque anni a partire dal 2022; una clausola che, nonostante l’invasione dell’Ucraina, è scattata, salvo prova contraria. Per cui Salvini e Putin sarebbero ancora alleati “a contratto”. Lui glissa, i compagni di partito gli fanno scudo. Intanto, Calenda ha minacciato una mozione di sfiducia nei suoi confronti. «Andate a vedere sui social la fanfara con cui Salvini ha siglato quell’accordo. Facciano vedere una lettera in cui lo hanno disdetto, se lo hanno fatto. Che ci vuole?».

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