«Non è ancora morta la gloria dell’Ucraina, né la sua libertà, a noi, giovani fratelli, il destino sorriderà ancora». In questi giorni l’inno ufficiale ucraino risuona anche nelle piazze delle città italiane. Sono molti i presidi di solidarietà alla popolazione contro l’offensiva russa, guidati dagli stessi ucraini che vivono in Italia. La comunità conta circa 240mila persone: è la quarta per estensione.
A Torino, in piazza Castello, il gruppo in presidio intona canti popolari e inveisce contro il presidente Vladimir Putin: «Putin khuylo!» («Putin, vaffanculo!»). Gli ucraini, lontano dalla patria ferita e in pensiero per i propri cari che hanno deciso di rimanere lì, chiedono un intervento più incisivo dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.
Tra loro c’è Tetyana Volos. Ci tiene che il suo nome sia pronunciato e scritto con la “e”, perché, dice, «quella con la “a” è la variante russa». La precisazione suona come una rivendicazione: il popolo ucraino ha una sua identità, che è stata lacerata dall’offensiva del 24 febbraio. Tetyana vive e lavora in Italia dal 2004. È sposata, ha tre figli ed è originaria di Kyiv, dove si è laureata in economia estera. È figlia di un colonnello dei servizi segreti ucraini.
«I miei genitori sono lì – racconta – e al momento sono chiusi in casa. Sono molto in pensiero per loro, ci sentiamo circa ogni ora su WhatsApp, finché continua a esserci la connessione a internet».
Nella capitale, da venerdì bersaglio dei missili e meta certa delle truppe russe, le persone si riparano in rifugi di fortuna e nelle stazioni della metropolitana. «Per gli anziani stare fuori casa, scomodi, è una morte lenta – prosegue Tetyana – non potrebbero resistere a lungo senza le medicine necessarie». Si stima che il numero di sfollati nel paese sia arrivato a 100mila persone, mentre l’esodo fuori confine conta già 200mila rifugiati.
Tetyana racconta di avere chiesto ai genitori di partire per l’Italia. «Loro vogliono rimanere lì», anche perché, spiega, l’invasione ha risvegliato un orgoglio nazionale che pareva sopito: «Da bravi patrioti e se dovesse proprio succedere, vogliono morire in Ucraina». Sono una sessantina i civili morti finora nel paese. L’esercito russo ha colpito gli obiettivi militari, ma hanno pagato il prezzo anche le persone comuni. «Fino a pochi giorni fa pensavamo che non sarebbero state attaccate. Invece la strategia di demilitarizzazione di Putin è un’ennesima menzogna», commenta Tetyana. La laurea in economia le ha permesso di lavorare come consulente in diverse aziende italiane, e per un periodo ha avuto anche una sua società. «Opero nell’import-export – spiega – e aiuto le aziende con gli affari nei mercati dell’est Europa». Si interessa, quindi, di interconnessioni, economiche e sociali, tra Stati. Dal 1991, con l’indipendenza conseguente alla dissoluzione dell’Urss, l’Ucraina prende parte alla rete globale con molta fatica: «Noi ci sentiamo cittadini del mondo, ma non è vero che i muri sono stati abbattuti». Nelle parole di Tetyana c’è l’amarezza per una patria vittima di un processo di progressivo smembramento: nel 2014 la Crimea, che con un referendum plebiscitario è entrata nella federazione russa, e la questione del Donbass.
Ora, però, è in discussione la sovranità dell’intera Ucraina. «Mi aspetto scenari poco felici» dice Tetyana. «Sembra che la comunità internazionale aspetti il peggio: la presa di Kyiv e un governo fantoccio manovrato dalla Russia. Ma gli ucraini resisteranno, come hanno sempre fatto con i vari invasori: nel modo che gli era possibile». In effetti arrivano le notizie di molti arruolamenti nell’esercito per difendere il paese, in risposta all’appello accorato, via social network, del presidente Volodymyr Zelensky.
Tetyana ha portato in piazza anche la figlia maggiore, di 9 anni. «Gli altri due sono di 3 e 6 anni – dice. Mi tocca spiegargli cosa sta succedendo nel nostro paese, e perché non potremo andare a trovare i nonni. Avrei voluto evitarlo». Tetyana e la figlia, come molte altre donne in piazza, hanno un cerchietto in testa con i fiori del colore della bandiera ucraina: «Fa parte del nostro costume tradizionale. Lo portano tutte le ragazze».