Se la manifestazione del 27 ottobre in piazza del Campidoglio ci ha insegnato qualcosa è che oggi a Roma — e forse anche in Italia — il vero antagonismo non solo è borghese, ma anche diversamente giovane. Non dovrebbe fare più notizia il fatto che, in assenza di ragazzi incazzati perché gli è stato rubato il futuro, non ci sia nessuno più sedizioso di una nonna privata del present perfect, e in particolare di quella parte di present perfect che lei chiamava la sua città.
Ma, come per tanti altri fatti belli o brutti della vita — ad esempio, la montagna estiva o i governi tecnico-politici senza tecnici né politici — un conto è la teoria, un conto è poi la pratica. Sabato mattina, neppure le sei fondatrici del gruppo Facebook “Tutti per Roma. Roma per tutti” (23.100 membri) si sarebbero aspettate intere falangi di queste signore, accompagnate da coorti di signori coetanei, scendere in piazza, inneggiando alla destituzione dei potenti, chi per vedersi ripiantare un albero, chi tappare una buca, chi ritirare la spazzatura. Che tempi: chi governa sta cambiando le cose in modo talmente eccezionale che la gente vuol fare la rivoluzione per la normalità.
Scattando una foto alla piazza verso le 11.30, forte anche della posizione sopraelevata offerta dalla sua cavalcatura, l’imperatore Marco Aurelio avrebbe portato a casa uno dei più interessanti groufie degli ultimi anni della storia di Roma. La varietà dei tipi umani presenti, delle zone di provenienza, delle motivazioni era tale che alcuni critici di manifestazioni, a cose fatte, sono riusciti a ravvisare nel pubblico ciascuno il proprio speciale spauracchio: la sindaca Raggi ci ha visto una specie di congresso anticipato del PD; un sito anti-degrado ci ha visto un’adunata di commercianti No-cordoli preferenziali. Molti dei partecipanti ci hanno più semplicemente scoperto dei nuovi fratelli da un quartiere diverso. Insomma, una bellissima manifestazione, ma non priva di possibilità di crescita e miglioramento, che abbiamo provato a riassumere in alcuni punti.
Il corteo oltre l’ostacolo: La location di piazza del Campidoglio è il simbolo perfetto del “Ricominciamo”. Come quello, ante-Pappalardo, cantato da Papa Paolo III per convincere Michelangelo Buonarroti a ridare dignità a una piazza che, dopo le glorie, era caduta così in basso da essere chiamata “colle caprino”. Non avreste potuto farvi autorizzare una location migliore per un sit-in contro il declino di Roma, perché oggi quella piazza non sarebbe così bella se non fosse stata, a un certo punto della sua storia, praticamente un porcile. C’è ancora speranza. Ma un sit-in è pur sempre l’aperitivo a buffet delle manifestazioni in pubblica piazza, di cui la cena placée è il corteo. Non si può prescindere dal corteo. Magari un corteo con un format innovativo — come organizzare azioni utili e/o dimostrative lungo il percorso: raccogliere rifiuti, chiedere scusa in massa ai passanti urtati, praticare atti di volontariato a casaccio, alzare in sincrono i tergicristalli delle auto in doppia fila — ma fate un corteo, potrebbe essere prioritario per serrare le file dopo l’exploit di sabato, battendo l’asfalto finché è caldo.
Distanziarsi dai No-cordoli: Le precauzioni non sono mai troppe. La prossima volta, a scanso di equivoci, mostrate l’abbonamento ATAC e i lividi da frenata molesta dell’80 Express a chiunque vi scatti una foto, soprattutto se recante segni di nostalgismo mariniano.
Distanziarsi da Mafia Capitale: È abbastanza evidente che, fra i modi in cui la malavita organizzata ha deciso, nel tempo, di infiltrarsi nel tessuto sociale italiano, ci sono molti luoghi di potere e diversi strumenti di comunicazione, ma non c’è ancora il sit-in. Detto questo, facciamo comunque attenzione. Livello massimo consentito di minacciosità degli slogan, d’ora in avanti: “Facciamo vedere le stelle alla Raggi, ma non cinque, tutto il firmamento”.
Ancora più incazzati Non per questo non dovete provare a mostrarvi più incazzati di sabato anche perché, per esserlo, lo siete. Una semplice lista di cose da fare a Roma per esternare in tempi rapidi il grado di insofferenza desiderato:
– Picnic di chiusura stagione al Lido Tiberis
– Cura Ludovico con videoclip di Massimo Giletti che si finge maresciallo tra i pusher di San Basilio
– Gita a Porta di Roma con tutta la famiglia.
Ancora più variegati: I soliti cinici osservatori diranno che, come quando gli spartani e gli ateniesi si univano contro il comune nemico persiano, siete stati perlopiù pariolini e radical chic, per la prima volta, insieme contro la Raggi. Non dategli retta e sparigliate ancora di più le carte: se avete un K-Way, procuratevi un eskimo a via Sannio; se indossate il loden, ridate una mano di cera al Barbour. Del resto, per dirla tutta, ai cinici, sabato si contavano almeno altri due fronti: gli aspiranti pariolini e gli aspiranti radical chic, per non contare i vari elettori pentiti e i pentiti elettori. Ognuno ha le sue debolezze.
Rafforzate il visual: Alcune vostre idee di comunicazione sono strepitose e, riproposte anche sulle pagine del New York Times, sono straordinariamente fotogeniche. I sigilli della polizia municipale, indossati come sciarpe autunnali, non sono malvagi, ma anche piuttosto già visti. La vostra immagine trova la sua consacrazione nelle reti arancioni da cantiere montate a mo’ di coroncina, che cingono il pericolo intorno al luogo più sensibile: la testa delle persone. Il manifestante diventa così una buca umana di cui egli è sia cantiere che umarell.
Insistete, rendetele il vostro segno di riconoscimento più forte. Potete estendere il concept a uno sterminato campionario di gadget e accessori, dando ai militanti la possibilità di creare i loro kit, ogni volta con una nuova, possibile variante dello stesso significato dirompente: potete recintare tutto, ma non potete cantierizzare la nostra anima. Qualche sviluppo:
– Pochette da taschino
– Shopper
– Custodia per iPad
– Tovaglietta all’americana
– Incarto per omaggi floreali
Per quelli che osano di più:
– Gemelli da polsino
– Benda per occhio
– Fodero per sciabola
– Fondina per pistola
– Barella da campo.
Mettete dei copy nei vostri striscioni: È dispiaciuto che questa cura nell’immagine non trovasse un’adeguata controparte nei testi e nei formati dei cartelli (perlopiù piccoli e improvvisati, di poco impatto), soprattutto a fronte di un logo ufficiale realizzato da Lorenzo Terranera. Va fatta particolare attenzione alle eventuali derive estremiste, come il punto di non ritorno rappresentato da “Raggi, una buca ti inghiottirà” che, pur nell’evidente entusiasmo dei suoi portatori, ci rimanda tristemente ai rischi del nostro punto Distanziarsi da Mafia Capitale.
Anche i cori vanno pensati meglio: “Te ne vai o no?” non è all’altezza degli sforzi organizzativi e dell’eleganza innata delle sei fondatrici; come purtroppo non lo sono neppure le signore più facinorose che alternano, ogni tre o quattro “Fuori!” — severi ma giusti — un ben più definitivo “Muori!”, ignare di fare così il gioco dei pochi ma ben motivati detrattori di questa iniziativa. In alternativa, come audio, per il futuro, sarebbe preferibile lasciare in loop definitivo la performance dal vivo della Banda Cecafumo del Quadraro, che continua a suonare il tema di Amarcord, finché può, anche mentre la città affonda.
Porgere l’altro selfie: Sabato è stato delizioso incontrare dei manifestanti, chiaramente alla loro prima esperienza di piazza, di estrazione non popolarissima, dapprima timorosi che potesse fare villano o, peggio, presenzialista, essere visti qui, magari in uno di quei fatidici selfie degli altri. Una volta scoperto che erano lì anche Corrado Formigli e l’imperatore Marco Aurelio, eccoli tranquillizzati, pronti a produrre a loro volta nuovi selfie. È con quelle facce, tutte diverse, tutte riconoscibili, tutte vere che andrete più lontano, che non potranno più attribuirvi appartenenze fantasiose, perché appartenete solo a voi stessi. Proprio come è successo la mattina del 27 ad alcuni malaugurati infiltrati, fa molta più paura il volto di una nonna-amazzone, reso ancora più minaccioso dal Revlon da battaglia, che intere cariche di celerini. E questo vale sia per gli infiltrati, sia per i politici che non vi ascoltano.
“E i millennial?” is the new “E il PD?”
Un’altra strategia che potrebbe portare a successi ancora maggiori è incrementare il pubblico giovane o non anziano. In questa società che va al contrario, sabato molti figli erano presenti solo col pensiero, avendo preparato l’Eastpack ai loro avi, la sera prima, munendoli anche della giusta playlist da ascoltare in bus. E non vale impilare più nipotini riccioli d’oro della Generazione Z uno sull’altro, alla Vincent Adultman in Bojack Horseman, per comporre un millennial. I modi per coinvolgere altre fasce d’età già elettoralmente attive ci sono eccome. Qualche proposta?
– Non fare loro promesse che non potrete mantenere, incluse quelle che danno per certa la presenza della nipote in età da apericena del collega militante
– Rispettare la sacralità del sabato mattina
– Non usare cover di brani di Adriano Pappalardo come principale colonna sonora delle manifestazioni.