Per chi conosce il personaggio, non è niente di nuovo: è come il rapporto tra materia e antimateria, per ogni affermazione di Salvini ne è esista una, in passato, in cui sosteneva l’esatto contrario. Ma stavolta l’ultimo ripensamento – annunciato ieri a Belve, e che i giornali oggi chiamano in massa «dietrofront» – ha un sapore diverso. Ai più svegli, ma non solo, non sarà sfuggito che l’8 e il 9 giugno si vota per le elezioni europee, che il segretario della Lega è in piena campagna elettorale e soprattutto che non se la passa benissimo. E allora? E allora: riposizionamento. O almeno ci si prova.
I temi usciti dall’intervista con Fagnani – ma fiutando l’aria s’intuivano già – sono grossomodo due: i rapporti con la Russia di Putin, di cui il Carroccio si è sempre professato arci-amico, e quelli con il generale Vannacci, a cui Salvini mesi fa aveva aperto le porte del partito invitandolo a candidarsi a nome della Lega, per portare a Bruxelles il misto di oscenità sessiste, razziste e omofobe che hanno trasformato la sua raccolta di pensierini, Il mondo al contrario, in un bestseller.
Ebbene: su Putin, che pure aveva “benedetto” di recente, dicendo che la democrazia ha sempre ragione e l’esito delle ultime elezioni in Russia andava accettato da noi occidentali perché, appunto, erano elezioni (magari non così democratiche, ma tant’è), ha fatto retromarcia, ammettendo che dopo l’invasione dell’Ucraina i rapporti non sono più quelli di prima, e soprattutto che i controversi accordi di collaborazione tra il suo partito e quello a capo del Cremlino da allora «non sono più validi». Insomma, dimènticati degli amici di sempre.
Stasera un inedito Matteo Salvini a #Belve. Sembra un confessionale l'intervista con i relativi mea culpa. @francescafagnan è immane!! pic.twitter.com/TiOfWOMbDn
— Marco Ferraglioni (@MFerraglioni) April 2, 2024
Su Vannacci, invece, «non siamo convinti della sua candidatura, ci stiamo ragionando», anche se la questione va inserita in un quadro più ampio di polemiche interne alla Lega. Provare ad assoldare il generale, che indubbiamente ha dato voce alla pancia di una certa parte d’Italia, è forse l’ultimo tentativo, pure disperato, di salvare la faccia del partito alle urne, prendendosi i voti di estremisti e antisistema vari. Gente, insomma, che non si riconosce neanche più nella svolta (ehm) istituzionale di Meloni. Non fosse che proprio ieri pomeriggio Salvini ha ricevuto una lettera firmata da alcuni “dissidenti” interni alla Lega che chiedono di mettere «fuori fasci e svastiche» dal Carroccio, con un colpo a Vannacci e uno alla possibile alleanza con l’estrema destra tedesca in Europa. Perché oggi, ridotta così, si fa fatica a crederci, ma per la Lega questa sarebbe a tutti gli effetti un back to the roots.
Tra gli anni Ottanta e Novanta, mentre Salvini metteva la testa nei centri sociali («ma sono stato al Leoncavallo una volta sola», ha detto ieri a Fagnani, difendendosi dall’onta), il partito all’epoca guidato da Bossi era già parecchio controverso, sì, ma per motivi differenti da quelli di oggi: «Roma ladrona» era lo slogan con cui mettevano una linea di confine sul Po, puntando tutto sull’autonomia delle regioni del nord, spesso in base a un razzismo neanche velato nei confronti dei meridionali; ma, va detto, erano anche dichiaratamente «antifascisti». E pace, poi, che la storia li abbia portati altrove, prima a scornarsi con Berlusconi per avere inserito nella loro alleanza il post-MSI di Alleanza Nazionale di Fini (1994) e poi a sposare in pieno la causa. Se c’era una cosa a cui la Lega originale diceva di tenere, era proprio l’antifascismo.
E così oggi c’è un elettorato orfano di alternative che a Salvini – che nel frattempo ha cambiato il volto della Lega verso posizioni più populiste e di respiro nazionale, e fino a qualche tempo fa gli elettori gli davano ragione – richiede un ritorno alle origini: concentrarsi sulle cause dell’autonomia del nord, e lasciar perdere le tentazioni fasciste. E lui, sconfessando Vannacci, specie quando dice di «non essere d’accordo» con la sparata per cui «i gay non sono normali» («abbiamo idee diverse»), sembra in parte assecondarli. Il resto, sempre da Fagnani, arriva quando riconosce i meriti di Bossi e del suo delfino Maroni, dai quali ha ereditato la guida di un partito allora molto nordista circa dieci anni fa: «Non mi ritengo all’altezza né di Bossi, né di Maroni».
(Falsa?) umiltà a parte, c’è da capire dove può portare questo allisciamento – a chi sta parlando, dove vuole pescare elettori e il resto. La situazione, dicevamo, è tragica: se dovesse scendere sotto il 7% (i sondaggi lo danno sulla soglia), è probabile che i colonnelli interni al partito gli chiederanno di dimettersi dalla carica di segretario, e così la sua parabola si concluderebbe lì dov’era cominciata, cioè con la Lega che registra punteggi bassi; solo che almeno dieci anni fa il partito, un’identità precisa, ce l’aveva. Su Putin, quindi, è facile che voglia allinearsi con il generale atlantismo della maggioranza, cercando una pace con Meloni dopo le ultime frizioni in merito. Su Vannacci, invece, non è chiaro: passi il repulisti con i fascisti (come se fosse l’unico all’interno della Lega), ma senza un chiaro rilancio autonomista la questione resta un fuoco nella notte di San Giovanni.
Il rischio, insomma, è che così facendo si metta in coda per prendersi una fetta di elettorato diciamo moderato, dimenticandosi però che quello stesso elettorato (gente che ritiene i gay persone normali e la Russia una democratura) è già sparpagliato e presidiato, da Calenda e il PD a, in parte, perfino Fratelli d’Italia. Chiaramente ci sono distinguo da fare, ma è chiaro che un simpatizzante di Putin sarebbe spinto a votare un Conte, più indulgente, che Salvini, che abbandonando posizioni più radicali ha più probabilità, a questo punto, di perdere voti che di trovarli – la politica è politica e non marketing, ma insomma, se si cercano acquirenti la strategia della coda lunga è sempre valida.
Tradotto, forse l’unica mossa che potrebbe salvarlo dalla catastrofe sarebbe quella di legarsi di nuovo alle radici nordiste della Lega, ai temi di quando si chiamava Lega Nord, ora non presidiati da nessun partito di massa. Occupare spazi vuoti (altra bella pensata di marketing) porta risultati, in questo caso almeno tra Veneto e Lombardia. E certo, sarebbe una rinuncia a quanto fatto negli ultimi dieci anni, a tutto il suo lavoro per aprire i confini del partito e parlare al(la pancia del) Paese tutto. Ma insomma: mica ci staremo a stupire di altre giravolte. D’altronde siamo uomini o generali Vannacci, Salvini?