È come il rapporto tra materia e antimateria, o come il terzo principio della dinamica, quello per cui «a ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria»: per ogni presa di posizione di Matteo Salvini ce n’è un’altra – nel passato, ma a questo punto, stiamo certi, anche nel futuro – in cui il Ministro dei Trasporti afferma l’esatto opposto. Stavolta nel mirino c’è la scelta da parte del comune di Bologna di imporre il limite di velocità a 30 chilometri all’ora in circa il 70% delle strade della città: una decisione che ha diviso, nel capoluogo emiliano come in tutta Italia, e su cui il nostro non ha potuto che cavalcare la linea più allergica al cambiamento, accodandosi alle polemiche per cui l’intervento sarebbe inutile per i temi per cui è stato sollevato, prima di tutto la sicurezza dei pedoni, e piuttosto sarebbe solo una grande scocciatura per la viabilità della gente-che-lavora. «È una scelta irragionevole», ha detto. «Ho il dovere di tutelare la mobilità di chi prende la macchina per andare a lavorare». Un classico. E intanto il suo ministero fa sapere di stare lavorando a un decreto che ridurrebbe queste cosiddette «zone 30» in tutta Italia. Eppure.
Eppure è una retromarcia, perché era stato lui a volerle. Lo spiega Repubblica oggi, riportando come lo stesso Salvini, a dicembre del 2022, e quindi quando era già a capo del Ministero dei Trasporti, aveva stanziato un totale di 13 milioni di euro proprio per aumentare le zone 30 di diverse città italiane. Il decreto era stato poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 9 febbraio 2023, e la stessa Bologna ha incassato 613mila euro – con cui ha costruito aree pedonali e ha messo in sicuro i marciapiedi – il 28 giugno dello scorso anno. È tutto nero su bianco sui conti comunali. E d’altronde all’articolo 4 del testo in questione si legge che i fondi devono servire a «migliorare la sicurezza stradale dei pedoni», per esempio con «con l’implementazione di zone 30 e isole ambientali». Eccoci qui. E mentre l’opposizione gongola («È Salvini che smentisce se stesso», accusa Bonelli dei Verdi, tra i più interessati all’argomento), il Ministero ha tenuto a precisare di non essere caduto in contraddizione, perché «i fondi stanziati non erano solo per le zone 30. L’obiettivo, come già precisato, è garantire la sicurezza in alcune zone senza vessare i cittadini». Difficile capire come una difesa del genere possa funzionare: il fatto che quei milioni non fossero solo per le zone 30, non implica che anzi le zone 30 siano state ampiamente incoraggiate. Insomma, ora Salvini, che forse vedrà il sindaco di Bologna Lepore per un confronto, ora dovrà combattere soprattutto contro il suo fantasma del Natale passato.
E contro, va detto, anche tanti altri comuni che, convinti della bontà dell’idea che aveva prima supportato e che ora affossa, si sono già mossi o si stanno per muove nella stessa direzione di Bologna. Parma, per esempio, ha già deciso di partire entro quest’anno, per dire, mentre Torino sta per completare la mappa delle strade in cui imporre il limite – le altre per ora andranno a 50. A Milano, poi, il limite dovrebbe scattare dall’inizio del prossimo anno, mentre Firenze si sta già muovendo a poco a poco, quartiere per quartiere, per non spaventare i cittadini. E stando agli annunci elettorali del sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, perfino la capitale entro il 2026 dovrebbe avere il 70% delle sue strade con un limite a 30 chilometri all’ora. E poi Olbia, Cesena (pioniera assoluta, già nel 1998) e tutti gli altri comuni, una sessantina circa, che hanno già varato un provvedimento del genere negli anni scorsi. Nessuno, giurano, se n’è mai pentito. E anche l’ACI è d’accordo. Che per una volta Salvini si fosse stato seduto dalla parte giusta? Nel caso, si è già smentito.