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Salvini è l’amico che ti mette nei guai, Di Maio quello che asseconda le sue stronzate

Uno alza sempre la voce perché non ha argomenti, l'altro non ha il carisma per farsi argine alla sua deriva. Al liceo due così li sapevamo mettere al loro posto, ora li mandiamo al governo (a gestire una crisi da operetta)

Luigi Di Maio e Matteo Salvini il giorno della presentazione del governo Conte

È in quell’eterno reality show chiamato “anni del liceo” che scopriamo i principali archetipi umani con cui avremo a che fare nella restante parte della nostra esistenza. Quasi automaticamente capiamo anche con chi vogliamo avere a che fare, chi ci porta sulla strada dritta e chi su un vicolo cieco. In quella congrega umana che è una classe di scuola, oltre al secchione malaticcio e alla tipa con gli scazzi che nessuno è in grado di capire, non possono mancare un paio di punti fermi.

C’è quello che fa il grosso sempre: non ha alcun fascino, ma ci crede un sacco e finisce che qualcuno ci caschi. E qui entra in scena il secondo esemplare umano, calamita prediletta delle spacconate dell’altro. Insieme sono molto pericolosi, perché il primo acquisisce un’audience per il suo show, mentre il secondo si convince ogni giorno di più di quanto sia figo l’amico e quanto sia fortunato lui a brillare della sua luce riflessa. Fomentato, il prototipo uno alza sempre più la voce, provoca, fa macelli in giro. Fino a coinvolgere gli altri nei suoi casini.

Ecco che qualcuno, tra quelli ancora disposti (o costretti) ad averci a che fare, prova a fermarlo, a farlo ragionare. “Guarda che ci metti tutti nei casini”, gli dice. Visto che non sortisce alcun effetto, perché quello non esce mai dalla parte, prova a passare dal compagno. Lui ci pensa, dice che in effetti ogni tanto il ragazzo esagera, che proverà a parlargli. Non lo farà, perché in quanto personalità sta a zero e la sudditanza è totale. L’altro si gasa ancora di più, fa una cazzata più grande delle altre. Finiscono tutti nella merda.

Cosa ci insegna questa storia? Nulla, evidentemente. Altrimenti non avremmo consegnato le chiavi della politica italiano a due tipi così. L’attitudine bullesca di Matteo Salvini è stata il suo tratto distintivo sin da subito: chi si illude avesse interesse a ritagliarsi un benché minimo profilo istituzionale era decisamente fuori strada. Non c’è nulla di fuori controllo in quello che fa il ministro degli Interni, ma solo strategia. Distruttiva, per gli altri. Come i veri spacconi, che sono consapevoli di stare sul cazzo a molti ma non conoscono altro modo di stare al mondo, sa che la cosa migliore da fare è dividere le persone, in modo da tenere isolati quelli che è riuscito a conquistare da chi non tollera i suoi atteggiamenti. E infatti da mesi Salvini non fa altro che indicare nemici, separare l’universo in buoni e cattivi, aprire nuovi fronti di scontro. Un comportamento terribilmente infantile, che però di questi tempi funziona da matti.

Anche grazie a quell’altro, che se prende le distanze dal sodale lo fa balbettando. Anzi, il più delle volte prende parte alla guerra dei decibel (perdendo) e alimenta il gioco perverso e divisivo, cercando di intercettare briciole di consenso dalla questione dei migranti o tramite il continuo disprezzo degli avversari.

Ora i due paiono al redde rationem, che potrebbe segnare la fine del governo Conte (parafrasando Renato Zero, il peggiore anno della nostra vita, politicamente parlando). Con ogni probabilità non accadrà, per questioni esclusivamente tattiche. Per andare al voto a settembre, ipotesi circolata in queste ore, bisognerebbe infatti accelerare la crisi in maniera impressionante, con conseguenze molto pesanti sulla manovra e un salto nel vuoto per quanto riguarda l’Iva. Per questo è già cominciata la melina. Inoltre c’è la questione più politica: l’opportunità di mettere assieme pentastellati e Pd, il partito di Bibbiano (questa cosa che state facendo è da voltastomaco, amici 5 Stelle).

La situazione è questa. Abbiamo i conti pubblici a pezzi e siamo senza una guida, sprovvisti di voce in capitolo in Europa. Servirebbero degli statisti in grado di gestire un processo così complicato, invece ci ritroviamo una classe dirigente che per un paio di Like e un punto percentuale danno dei torturatori di bambini (o giù di lì) agli avversari politici. Servirebbero persone con le redini strette in mano e i nervi saldi, invece ci ritroviamo nel giochino dell’insolente che si crede figo e dell’insicuro che ne subisce il carisma. Negli anni del liceo quelli così sapevamo metterli al loro posto, ora li mandiamo al governo, a gestire una crisi da operetta.

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