Il giorno dopo, solitamente hanno vinto tutti e perso gli altri. Ma stavolta due risultati sono certi. Salvini non ne ha beccata una, dal referendum ai candidati sui territori, e il Movimento 5 Stelle è evaporato.
Gli altri? Giorgia Meloni vola e il Pd, scarso nelle analisi del giorno dopo, sembra alla ricerca di un campo sparso. Pronto a scaricare i grillini e ad abbracciare i centristi di Italia Viva che in molte città ha appoggiato i candidati di centro destra, come se Giulio Cesare abbracciasse Bruto dopo la coltellata.
Poi c’è il folklore che ogni elezione consegna ai posteri, Mario Adinolfi, leader del Popolo della Famiglia che ha registrato zero preferenze a Ventotene, dove persino il candidato della lista Partito Gay ha preso una preferenza – è andata poco meglio a Francesca Donato a Palermo.
Ma tornando ai risultati, Matteo Salvini ne esce particolarmente ammaccato, dopo mesi in cui già non se la passava bene. Dopo la figuraccia inflittagli dal sindaco di Prezmysil è stata tutta una capriola, fino ai dialoghi con l’ambasciata russa che ha messo in serio pericolo la sopravvivenza della Lega al governo.
Così, dopo il flop dei referendum sulla giustizia, il primo a defilarsi è stato proprio il ministro Giorgetti, sempre più distante dalle scorribande del segretario e portavoce silenzioso di un dissenso sempre più consistente a Via Bellerio.
Quella di Salvini assomiglia sempre più alla replica di se stesso, a quell’euforia del tormentone estivo che dopo un po’ diventa inascoltabile. E nelle sue uscite, nella ricerca di un consenso, soprattutto dopo l’addio di Luca Morisi – il regista de “la bestia”, la macchina social di Salvini – quella del segretario è stata una comunicazione mozzata tra la fedeltà al governo ed essere opposizione. Nè carne, né pesce.
Un doppiogiochismo che ha finito per logorarlo e consegnare pacchi di voti a Giorgia Meloni, ritrovandosi all’improvviso azionista di minoranza del centrodestra.
Ad aggravare la situazione di Matteo Salvini c’è anche la figuraccia dei cinque referendum sulla giustizia. Non si chiamano gli italiani alle urne per vendicarsi contro uno dei poteri dello Stato, soprattutto quando in Parlamento c’è alle battute finali la riforma dell’Ordinamento Giudiziario, che arriva dopo un lungo dibattito tra i partiti.
Non è un problema dello strumento, come si sente dibattere ogni volta, ma dell’uso scellerato che ne fanno i partiti spesso a caccia dei rimborsi per il referendum. Infatti, una legge del 1970 prevede il rimborso di 1 euro per ogni firma raccolta in caso di raggiungimento del quorum – è andata male, altrimenti sarebbe stato un bel bottino.
Meloni raccoglie una continuità e il tesoro dell’opposizione al governo, spazio che Fratelli d’Italia occupa in solitaria. Così, oggi il ragionamento del Pd dovrebbe essere quello, non di cercare alleanze impossibili con quei mini partiti che affollano il centro, ma recuperare spazi in quell’elettorato liquido che ad ogni consultazione è pronto a cambiare casa e che è frutto della post-ideologia che ha superato in qualche modo la funzione dei partiti. Così alla fine, uno vale l’altro.
33 città sono andate al centrodestra, 29 al centrosinistra, 11 alle liste civiche che spesso nascondono la timidezza dei partiti più grandi a schierarsi. Le città più grandi sono conquista del centrodestra: Bucci a Genova, Lagalla a Palermo, Biondi a L’Aquila.
In Abruzzo si conferma la destra meloniana, mentre in Sicilia nonostante il problema degli impresentabili, Roberto Lagalla dovrà usare le sue doti da chirurgo per risollevare le sorti del Comune che è sul rischio del dissesto finanziario e con una serie di criticità lasciate dal suo predecessore Leoluca Orlando.
Ma come era immaginabile, questi risultati sono il banco per costruire le alleanze per le prossime amministrative, per capire che aria tira nei territori.
È partita una corsa disperata verso il 2023. Per questo non è concepito come strano, tessere alleanze con chi fino al giorno prima si schierava con l’avversario, con chi ha tradito e lasciato un partito per fondarne un altro, con chi ti ha gridato “ladro” fino a poco prima. Non sono ipotesi, ma fatti realmente accaduti.
Sembra l’aereo più pazzo del mondo eppure è quello che si sta muovendo nelle sedi politiche, dove gli elettori contano poco o niente. Per questo persino Adinolfi o Francesca Onorato finiscono per contare più di un’intera circoscrizione elettorale. Nella politica fatta sui risultati elettorali anche le formiche rischiano per contare tantissimo.