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Sono questi i nazisti ucraini? Andriy, il capo Ultras della Dinamo Kiev

Il movimento degli ultras della Dynamo Kiev è un piccolo esercito, lo era anche prima della guerra, prima delle rivolte di Maidan nel 2014. Ma ora è diventato davvero un piccolo esercito, in senso militare: tra nazionalismo e appartenenza, una giornata con i 'Ragazzi della Dynamo'

Credits: Salvatore Garzillo

«Il movimento degli ultras della Dynamo Kiev è un piccolo esercito, lo era anche prima della guerra, prima delle rivolte di Maidan nel 2014. Ma ora è diventato davvero un piccolo esercito, intendo in senso militare. I nostri ragazzi sono armati e combattono in prima linea contro gli orchi russi».

Ti aspetti un gigante rissoso e violento, con poca pazienza e i pugni veloci. Invece Andriy ti confonde perché è minuto, parla alle persone guardandole dritte in faccia con i suoi occhi azzurri, con un sorriso sbilenco e i modi gentili da bravo ragazzo. «Sono il capo ultras della Dynamo Kiev da 18 anni, non siamo criminali. Gli ultras sono ultras, se combattiamo contro altri ultras sono affari nostri. Ma quel tempo è finito».

Andriy è seduto al bancone del pub ufficiale della tifoseria, a pochi metri dallo stadio di Kyiv. È tranquillo, sembra quasi un contabile in un mercoledì qualunque. Prima della guerra lo abbiamo incontrato altre volte in curva, la sua personalità riempie lo stadio: con un gesto riesce a zittire o ad animare migliaia di tifosi ucraini, molti dei quali grossi come alberi. E se c’era da combattere per strada non si è mai tirato indietro. Ma quel tempo, lo dice spesso, è finito.

«Gli ultras in Ucraina sono diversi dal resto del mondo, la guerra ha cambiato le nostre dinamiche. Già dopo i fatti di Maidan abbiamo stipulato un accordo tra tutte le tifoserie, un armistizio, un patto di non belligeranza. I nostri conflitti cancellati. Ora non siamo più nemici, siamo tutti ucraini e combattiamo uniti contro l’invasore russo. Non supportiamo solo il nostro club, supportiamo anche l’Ucraina».

La guerra cambia tutto, le persone ma anche gli spazi. Questo pub era la base del tifo della capitale, ora è un deposito di stoccaggio per beni da mandare al fronte. «Raccogliamo materiali per i nostri ragazzi che hanno bisogno di cibo, di medicine, di coperte. La cucina del pub è stata riconvertita, ogni giorno prepariamo oltre 700 pasti da mandare ai nostri ragazzi». Andriy ripete questa espressione, «i nostri ragazzi», perché li sente di famiglia, per molti è come un padre, una figura di riferimento.

La sala principale, che una volta era la tana degli hooligans, adesso è un deposito dove è faticoso muoversi tra scatole di farmaci, power bank, scatoloni di cibo ma anche elmetti, materiale “da guerra”. «Io dormo qui – e ci indica un angolo accanto a una fila di seggiolini da stadio usati come arredo – vicino al mio letto ho fumogeni, razzi, fuochi d’artificio e anche qualche pistola. Non si può mai sapere». 

Qui essere il capo ultras non è un hobby del weekend, è un ruolo politico con tutti i rischi annessi. «So benissimo di essere nel mirino dei russi, se mai dovessero prendere Kyiv (e non ce la faranno mai) personaggi come me saranno eliminati subito perché rappresentiamo la resistenza. Con tutto quello che può significare questa parola. Ma tanto li aspetto, sono pronto». Con l’ultima frase Andriy ci ricorda che essere un bravo ragazzo non è un lavoro a tempo pieno.

Il pub oggi è tranquillo perché ieri almeno un centinaio di persone è passato a prendere cibo e altro. Al bancone siedono in pochi, c’è anche un ragazzo in mimetica, al braccio sinistro ha una strana toppa che non abbiamo mai visto. È una grande D ricamata con la scritta Kiev alla base. «È una patch di guerra, l’abbiamo fatta noi, così ci riconosciamo senza parlare, anche al buio».

Mentre Andriy sistema le nuove casse arrivate, il militare al telefono riceve aggiornamenti dai commilitoni nel Donbass, che a breve dovrà raggiungere. Sa che la battaglia finale sarà lì, intanto si dà forza bevendo un cappuccino. Alle sue spalle c’è il poster di un disegno che rappresenta “i ragazzi della Dynamo”, un vichingo con due spade enormi e l’aria incazzata da cavaliere nero a cui non glie devi cacà er cazzo.

Alle altre pareti restano appese foto delle partite, memorabilia, ricordi delle battaglie in giro per l’Europa combattute in campo e fuori. «Questa foto è stata scattata a Villa Literno, vicino Napoli», ci spiega mostrandoci uno scatto incorniciato accanto alla cassa. C’è un uomo, di spalle, alla banchina di una stazione ferroviaria. Ha il cappuccio calzato a nascondere il volto e si appoggia a un ombrello, anche se non sembra una giornata piovosa. «L’ombrello è nello stile degli ultras italiani, lo usi per combattere (ride). L’abbiamo scattata quando abbiamo giocato contro il Napoli nel 2016 e la polizia ci ha preso nella stazione dei treni. Questo ragazzo è un mio caro amico, ora sta combattendo in frontline nell’est contro gli orchi».

Di nuovo questa parola per indicare i russi, un sinonimo entrato nel linguaggio di guerra non solo di Andriy. «Li chiamiamo così perché è la stessa situazione che trovi nel Signore degli anelli: c’è un capo e tanti orchi senza cervello. Tutte le brave persone, tutta l’Europa, tutto il mondo, deve capire che possiamo vincere solo se stiamo assieme. Proprio come la compagnia del Signore degli anelli. Non siamo e non possiamo essere fratelli di questa gente. Ormai niente è importante, solo la nostra guerra santa contro i russi. Contro la Russia, contro Putin… contro gli orchi».

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