Al confine tra Russia e Ucraina sono attualmente schierati 140mila soldati russi. Per il Segretario della Nato, Jens Stoltenberg, si tratta del «più grande dispiegamento militare russo dalla Guerra Fredda». Nelle ultime ore, dalla Lituania è atterrata una fornitura del sistema missilistico anti-aereo Stinger, mentre altre 180 tonnellate di munizioni le hanno trasferite gli Stati Uniti, per un totale di circa 1.500 dall’inizio della crisi.
Anche se le armi non sono ancora state azionate, la guerra sembra essere già partita, perlomeno in forma digitale. Nelle scorse settimane, hacker di matrice filo-russa hanno attaccato circa 70 siti governativi ucraini: sulle home page sono comparsi messaggi minacciosi in ucraino, polacco e russo. Avvertivano la popolazione che i suoi dati sarebbero stati rubati e la privacy violata. Il Wall Street Journal riporta che, secondo Viktor Zhora, vice capo del Servizio statale per la comunicazione speciale e la protezione delle informazioni dell’Ucraina, gli hacker hanno installato un software che distrugge le protezioni anti-spyware, progettato per rendere inutilizzabili i sistemi informatici in almeno due agenzie governative.
La Russia nega di essere autrice degli attacchi: in una conferenza stampa, Dmitry Peskov, portavoce di Putin, ha dichiarato alla CNN che la Russia «non aveva nulla a che fare» con gli attacchi hacker. Ma sono in molti a scommettere sulla matrice russa delle incursioni digitali.
Oleksiy Danilov – Segretario del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina – ha affermato che gli attacchi informatici potrebbero essere stati effettuati da un gruppo bielorusso che lavora con o per volere della Russia. Il Servizio di sicurezza ucraino ha annunciato sul proprio portale di aver scoperto e liquidato due bot a Leopoli – città dell’Ucraina occidentale, a circa 70 km dal confine con la Polonia – capaci di infettare 18mila account. Secondo le informazioni preliminari, gli amministratori della bot farm sarebbero guidati da sostenitori della Federazione Russa.
Quindi se di russi non si tratta, gli hacker che hanno colpito i portali istituzionali ucraini avrebbero comunque un collegamento, più o meno diretto, con il governo di Vladimir Putin. Una strategia che va avanti da tempo e che, nel 2017, portò al “NotPetya”, il più grande attacco hacker contro aziende ucraine sparse in tutto il mondo. Il virus, scoperto nel 2016, agisce sui sistemi di crittografia dei pc, bloccando l’accesso ai propri dati e offrendo ai proprietari dei pc stessi la restituzione dei dati in cambio di un riscatto via Bitcoin: un vero e proprio “rapimento” di dati – basti pensare che, in quell’occasione, il governo statunitense calcolò un danno pari a 10 miliardi di dollari.
Se la Russia riproponesse l’attacco, in questo contesto vicino a un conflitto armato, lo scenario rischierebbe di diventare ancora più inquietante. E coinvolgerebbe, tramite il web, il mondo intero. Il presidente americano Joe Biden ha dichiarato, durante una conferenza stampa del 19 gennaio, che gli Stati Uniti potrebbero rispondere ai futuri attacchi informatici russi contro l’Ucraina con le proprie capacità informatiche.
Pertanto gli esperti informatici della NATO — ha annunciato il Segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg — «hanno scambiato informazioni con le loro controparti ucraine sulle attuali attività informatiche dannose. Gli esperti alleati nel paese stanno anche sostenendo le autorità ucraine sul terreno». Nei prossimi giorni, la NATO e l’Ucraina firmeranno un accordo su una maggiore cooperazione informatica: permetteranno l’accesso ucraino alla piattaforma di condivisione delle informazioni sui malware della NATO. «Il forte sostegno politico e pratico della NATO all’Ucraina continuerà», come evidenziato da Stoltenberg.
Mentre i civili ucraini si preparano al conflitto e Biden annuncia che «risponderà in maniera rapida a un eventuale attacco russo», tra gli esperti informatici delle due controparti il conflitto è già cominciato. E senza confini geografici.