In questi giorni l’attenzione è tutta puntata su Pablo Rivadulla Duró, in arte Pablo Hasél, il rapper catalano che è stato processato, condannato e condotto in prigione. E sui violenti scontri di piazza che ne sono derivati. E sulla discussione intorno alla libertà di espressione. E sullo scontro tra il premier socialista spagnolo, Pedro Sánchez, e il suo partner di coalizione e vicepremier, il leader di Podemos Pablo Iglesias, che hanno idee molto diverse sulle manifestazioni (e sui disordini) seguiti all’arresto.
Ma in Spagna, e soprattutto in quelle aree della Spagna in cui molti spagnoli non si sentono, come la Catalogna del comunista (e indipendentista) Pablo Hasél, l’intreccio tra musica, politica e violenza è antico ed è intessuto di varie storie. Questa storia, ad esempio è iniziata nei Paesi Baschi. Ed è una storia che è finita esattamente vent’anni fa. È l’inizio del 2001 e a Irun, venti chilometri a Est di San Sebastián-Donostia probabilmente sta piovendo. I Negu Gorriak, che sono stati la band locale più importante dei primi anni Novanta e forse di sempre, e che si sono sciolti nel 1996, annunciano che si riuniranno giusto per il tempo necessario a fare quattro concerti, con cui festeggiare la fine di una loro guerra personale. In realtà, i Negu Gorriak, nel 2001, stanno celebrando anche l’inizio della fine di un’altra guerra che è molto più grande di loro. Ma questo i Negu Gorriak non lo sanno ancora. E non lo sanno neppure tutti gli altri.
La guerra dei Negu Gorriak (la guerra personale, non la guerra più grande di loro) è cominciata esattamente dieci anni prima. Era l’inizio del 1991. Nei Paesi Baschi probabilmente stava piovendo. Nei negozi di dischi era appena uscito il secondo album dei Negu Gorriak che si intitola Gure Jarrera (“La nostra linea”). Sono diciassette brani lungo i quali Fermin Muguruza (voce) e suo fratello Iñigo (chitarra), insieme con l’altro chitarrista Kaki Arkarazo, con il bassista Mikel “Anestesia” e con il batterista Mikel “BAP!!”, continuano a svariare tra mille generi. Rock, hardcore, hip hop, punk, reggae, musica tradizionale basca. Nel disco ci sono, quindi, molti riffoni di chitarra ma anche campionamenti, scratchate, dissonanze sonicyouthiane e frammenti di bertsolaritza. La bertsolaritza è una tecnica tradizionale da cantastorie ancora (inspiegabilmente) popolare nei Paesi Baschi. È basata su versi improvvisati in metrica e in rima e si configura come una specie di rap battle in declinazione folk (tra le altre cose i Negu Gorriak, fin dal primo disco, si sono messi a mescolare bertsolaritza e hip-hop per creare il cosiddetto Bertso-Hop, come da titolo di un loro singolo del 1990).
Mentre registrano Gure Jarrera, i Negu Gorriak hanno evidentemente ansie enciclopediche. Nei Paesi Baschi negli anni Ottanta – e anche allora nei Paesi Baschi pioveva quasi sempre – si erano formate alcune leggendarie band do-it-yourself. C’erano stati gli Eskorbuto e i Cicatriz. E c’erano stati anche i Kortatu, un gruppo formato dagli stessi fratelli Muguruza che sarebbero poi stati il nucleo dei Negu Gorriak. I Kortatu si erano poi sciolti alla grande, tirando fuori dal loro ultimo concerto (a Pamplona, il primo di ottobre del 1988) uno spettacolare album live, intitolato Azken guda dantza (“L’ultima danza di guerra”).
Queste band della prima ondata, per quanto indimenticabili, erano state però molto spontaneiste. I Negu Gorriak, invece, sono il primo solido gruppone basco che si è costruito con cura e che scrive canzoni in lingua basca. Per questo è come se la band sentisse la necessità di fondare, o quantomeno di rifondare, tutta la musica che possa essere cantata in basco. Il rock, appunto. E il metal e anche l’hardcore, il reggae, il rap, il cantautorato e il punk. E poi la salsa. E poi qualunque altra cosa. L’album più bulimico dei Negu Gorriak è il doppio Borreroak baditu milaka aurpegi (“Il boia ha mille facce”), una sorta di catalogo completo di tutto quello che si può suonare cantandoci poi sopra in lingua basca. Ma tutto questo succederà soltanto in seguito, perché Borreroak baditu milaka aurpegi uscirà nel 1993, un anno in cui nei Paesi Baschi, come sempre, pioverà molto.
Adesso è ancora il 1991. Più precisamente è il primo marzo del 1991, il giorno in cui esce Gure Jarrera (oggi, nel 2021, non ci si ricorda che tempo ci fosse nei Paesi Baschi il primo marzo del 1991, ma probabilmente stava piovendo, perché nei Paesi Baschi piove quasi sempre). La tredicesima traccia di Gure Jarrera si intitola Ustelkeria (“Marciume”) ed è costruita intorno alla registrazione di una finta telefonata fra il cantante Fermin Muguruza e il chitarrista Kaki Arkarazo. Le battute fra i due, che, tra parlato e cantato, si rincorrono raucamente lungo tutta la canzone, ripercorrono per sommi capi alcuni aspetti di un’inchiesta pubblicata dal quotidiano Egunkaria (in seguito questo giornale è stato chiuso dalle autorità con l’accusa di contiguità con il terrorismo di Eta: nei Paesi Baschi, mentre piove, quasi niente procede dritto e, mentre continua a piovere, quasi niente finisce bene). In estrema sintesi, il testo di Ustelkeria è un’accusa di narcotraffico rivolta contro il colonnello della Guardia Civil Enrique Rodríguez Galindo, un pezzo grosso dell’antiterrorismo.
Forse l’ufficiale con il tricorno non è un ascoltatore quotidiano dei Negu Gorriak e, in ogni caso, ci mette un paio di anni per denunciare. Ma, alla fine, nel 1993, il colonnello porterà il gruppo in tribunale per diffamazione. Galindo chiede 15 milioni di pesetas (quasi 100.000 euro) di risarcimento, l’esclusione della canzone dalle ristampe e la proibizione di suonarla dal vivo. Tra dischi speciali per raccogliere quattrini e crowdfunding di vario tipo per coprire le spese, la battaglia legale contro il colonnello, un personaggio di spicco della polizia militare e dell’antiterrorismo, diventa un simbolo e segna un’intera epoca.
È un’epoca buia. Gli anni Ottanta, nei Paesi Baschi, erano stati terrificanti. E anche gli anni Novanta sono spaventosi. Gli attentati terroristici dell’Eta, il gruppo armato indipendentista, sono quasi quotidiani. Come in seguito racconteranno benissimo il romanzo Patria di Fernando Aramburu e l’omonima serie tv che ne è stata tratta, in quegli anni la violenza concreta e quella verbale inzuppano le città e i paesi più di quanto già non lo faccia la pioggia.
Fino agli anni Novanta inoltrati, i Paesi Baschi, pur modernissimi e benestanti, continuano a vivere in una specie di prolungato bianco e nero. È come se lì, tra i Pirenei e il Golfo di Biscaglia, gli anni Settanta non fossero mai finiti. Gli indipendentisti radicali sono convinti di vivere in Nicaragua o nell’Algeria della rivolta antifrancese. E, intanto, la repressione delle forze antiterrorismo gioca spesso sporchissimo. Con la complicità di almeno un ministro, nel corso degli anni, sono stati addirittura creati dei gruppi paramilitari illegali, tra cui i cosiddetti Gal (Grupos antiterroristas de liberación) che hanno ucciso anche alcune persone che non c’entravano nulla né con la lotta armata né con la politica.
Bombe e pioggia, pioggia e colpi di pistola. Guerriglia urbana, sirene, camionette, manifestazioni, eroina, arresti, rapimenti, esecuzioni, scandali. E pioggia. I “cattivi” cercano di accreditarsi come “buoni”, e spesso i “buoni” si comportano peggio dei “cattivi”. E, sotto la pioggia, si accumulano tanti, tantissimi morti. Centinaia di morti.
I Negu Gorriak, come prima di loro lo sono stati i Kortatu, sono la colonna sonora semiufficiale di questa parte della penisola iberica che, vent’anni dopo la fine della dittatura di Francisco Franco, continua a vivere in mimetica oppure sotto scorta. Anzi, i Negu Gorriak sono militanti in prima persona dell’indipendentismo più radicale. Al punto che il loro primo concerto in assoluto, nell’inverno del 1990, avviene a 600 chilometri dai Paesi Baschi, davanti alla prigione di Herrera de la Mancha, dove scontano la pena numerosi carcerati che hanno ricevuto condanne per appartenenza all’Eta o per aver compiuto attentati.
Ma i Negu Gorriak diventano presto una cosa molto più grossa, che supera di molto la ridotta pirenaica in cui si parla l’incredibile lingua fossile, ed eppure insospettabilmente duttile, in cui cantano le loro canzoni. I Negu Gorriak suonano in tutta Europa. Suonano negli Stati Uniti, a Cuba, in Messico e in Sud America. Le riviste di settore, anche quelle spagnole, inseriscono i loro album tra i migliori dischi dell’anno. Qualche volta li recensiscono positivamente perfino i giornali conservatori.
E i Negu Gorriak, soprattutto nei Paesi Baschi, li ascoltano anche moltissimi ragazzini che con l’indipendentismo non c’entrano niente. «Per molti della mia generazione è quasi impossibile ricordare momenti della propria giovinezza senza che ci fosse in sottofondo la tua musica», dice Eduardo Madina al frontman dei Negu Gorriak, Fermin Muguruza, in un incredibile dialogo tra i due che è stato pubblicato qualche anno fa dalla rivista spagnola Jot Down (Madina, basco, classe 1976, poi deputato del Partito socialista, nel 2002 ha perso una gamba a causa di una bomba che un commando dell’Eta aveva collegato al motore di avviamento della sua auto con l’intento di ucciderlo).
Così, quando nel 2000 un tribunale annulla il procedimento avviato dal colonnello Galindo, nel lontano 1993, con l’obiettivo di farsi risarcire dai Negu Gorriak per le accuse contenute nella canzone Ustelkeria, per la band basca è una vittoria clamorosa. L’annullamento è legato a un cavillo un po’ pretestuoso, ma il punto è un altro: all’inizio dello stesso anno, il 2000, il tenente della Guardia Civil Enrique Rodríguez Galindo, che nel frattempo era diventato generale, è stato condannato a più di 70 anni di carcere per appartenenza ai Gal e per torture, sequestro di persona e omicidio. Schiacciato dalle accuse e dalle condanne, Galindo potrebbe ancora ricorrere contro la decisione del tribunale sul procedimento in cui è invece il querelante e che vede come imputati i Negu Gorriak. Decide però di non farlo. Scadono i termini per il ricorso e così, nel gennaio di venti anni fa, la band dichiara definitivamente chiusa la questione.
Quindi, nel febbraio del 2001, per festeggiare, i Negu Gorriak suoneranno in un concerto a sorpresa, a Hernani, e poi in tre affollatissimi concerti programmati, uno a Baiona-Bayonne e due a Donostia-San Sebastián (gruppo di appoggio la Banda Bassotti). Poi uscirà anche un disco celebrativo, intitolato proprio Ustelkeria.
Ma, per fortuna, i Paesi Baschi in cui i Negu Gorriak suonano in questi quattro concerti non sono più i Paesi Baschi di dieci anni prima. Per piovere, continua a piovere sempre. E il terrorismo di Eta andrà avanti a colpire per altri dieci, lunghissimi anni (l’organizzazione armata dichiarerà una tregua definitiva soltanto nel 2011). Ci saranno ancora morti. Ci saranno ancora arresti. Ma la morsa si sta allentando. I colori sono ancora pallidi, ma la vita nei Paesi Baschi non è più stampata soltanto in quel bianco e nero sgranato che macchia le dita, quel bianco e nero da notizia in cronaca, quel bianco e nero da volantino ciclostilato clandestinamente. Non è ancora il disgelo, ma l’inverno sta diventando più mite (Negu Gorriak vuoi dire “inverni rossi” ma anche “inverni rigidi”).
Finalmente, nel 2001, anche a molti sostenitori della sinistra radicale indipendentista (che lo pensano ma non lo dicono) i militanti di Eta cominciano a sembrare un mondo a parte, da lasciare finalmente fuori dal quadro della contemporaneità. Intanto, lo Stato spagnolo si sta dimostrando capace di riconoscere l’esistenza dei Gal e di altri organismi illegali e di punire alcuni responsabili di prima fila, come lo stesso Galindo.
Nel 2001, quando i Negu Gorriak fanno il loro minitour celebrativo, Fermin Muguruza ha già iniziato una carriera solista, in cui suonerà e canterà di tutto, in basco e in molte altre lingue, preferibilmente minoritarie. Gli altri componenti del gruppo si spargeranno in molti progetti diversi e talvolta si incroceranno di nuovo (Javier Muguruza, colpito da sclerosi laterale amiotrofica morirà nel 2019, a 54 anni).
La collocazione degli ex Negu Gorriak rimarrà quella: la sinistra indipendentista radicale. E, in un Paese che rimane incline a condannare, anche in tribunale, i cantanti che esprimono testi estremisti (in anni successivi i giudici commineranno pene pesanti non solo a Pablo Hasél ma anche al rapper maiorchino Valtonyc), Fermin Muguruza, anche nella sua vita artistica successiva, si è visto cancellare concerti in molte località spagnole.
Ma, in un mondo finalmente a colori, la varietà, la fantasia e le curiosità divergenti che, disco dopo disco, prima i Kortatu e poi i Negu Gorriak hanno già mostrato non saranno più imbrigliate dal richiamo all’ortodossia e dalla tentazione di allinearsi, esteticamente ma non soltanto, a una parte politica con troppe indulgenze verso una banda terrorista sanguinaria, che dissimulava la sua natura sotto una glassa sempre più mistificatoria di retorica resistenziale.
Nella loro evoluzione, i booklet dei dischi dei Kortatu e dei Negu Gorriak, così come il merchandising e tutti i parafernalia delle due band, mostrano una tensione che, con il senno di poi, è molto evidente: da una parte, c’è il richiamo collettivo e accecante verso il monolite di cemento della militanza, dall’altro lato c’è la continua tentazione di praticare l’eterodossia individuale.
I reperti legati ai due gruppi dei fratelli Muguruza offrono una delle fotografie più esatte di quello che è stato, per un numero incredibile di anni quel pezzetto di Europa. E oggi, esattamente vent’anni dopo, è del tutto chiaro che nei mesi di gennaio e febbraio del 2001 (mentre nessuno, neppure chi stava sul palco, se ne stava accorgendo), i Negu Gorriak non celebravano soltanto la vittoria in una loro guerra personale, quella contro Galindo, ma stavano anche celebrando l’inizio della fine di un’altra guerra, la fine di una guerra molto più grande di loro.
In questa guerra la loro posizione è stata spesso sbagliata e spessissimo discutibile. Ma di questa guerra i Kortatu e i Negu Gorriak sono stati una delle fotografie più precise: raramente, nella storia, un gruppo musicale – in questo caso in due successive incarnazioni, prima i Kortatu e poi i Negu Gorriak – è stato così chiaramente la parte per il tutto, il buco della serratura attraverso cui guardare lo spazio (un intero, piccolo mondo) e il tempo (una quindicina di anni) che questo mondo ha vissuto
Ma intanto, in questo momento, all’inizio del 2021, nei Paesi Baschi si organizzano mobilitazioni per Pablo Hasél, E sta probabilmente piovendo. O comunque pioverà presto.