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Trump è fritto?

Buzzfeed svela che il presidente ha ordinato al suo avvocato di mentire al Congresso a proposito della Trump Tower a Mosca, mentre i russi lo aiutavano a battere Hillary alle elezioni

Foto Getty

Donald Trump ha ordinato al suo avvocato personale, Michael Cohen, di mentire al Congresso degli Stati Uniti a proposito di una trattativa con il Cremlino per costruire un grattacielo Trump a Mosca, secondo due fonti del sito Buzzfeed nel team del procuratore Robert Mueller che sta indagando sull’influenza dei russi nelle elezioni americane del 2016. La rivelazione, non smentita, è importante, addirittura decisiva per il futuro dell’attuale presidente, non solo perché Trump ha sempre detto di non avere avuto alcun rapporto di affari con Mosca, ma anche perché l’Fbi e gli investigatori sarebbero entrati in possesso di email che provano le indicazioni di Trump al suo avvocato, il pieno coinvolgimento nell’affare di Ivanka Trump e Donald Jr. Trump e il progetto di andare a Mosca, in piena campagna elettorale 2016, per incontrare Vladimir Putin in modo da far decollare la trattativa per il grattacielo: «Organizza l’incontro», avrebbe detto Trump al suo avvocato. Ora la Camera, guidata dai Democratici, ha deciso di aprire un’inchiesta sulla vicenda e per il 7 febbraio è già fissata l’audizione dell’avvocato Michael Cohen, passato ora a collaborare con la giustizia.

Le cose si mettono male se davvero Trump ha ordinato al suo avvocato di mentire agli americani per nascondere un mega business con i russi, nel pieno di una campagna elettorale caratterizzata dall’ingerenza dei servizi russi contro la candidata democratica Hillary Clinton. Anche perché il nuovo ministro della Giustizia, William Barry, appena nominato da Trump ma ancora in attesa di essere confermato dal Senato, nel famigerato parere legale con cui aveva convinto Trump a nominarlo Attorney General perché criticava l’inchiesta Mueller, ha comunque scritto che «se il presidente fornisce consapevolmente falsa testimonianza o induce un testimone a cambiare testimonianza commette il reato di ostruzione alla giustizia». Insomma, la linea di difesa di Trump vacilla pericolosamente, tanto che mercoledì l’altro avvocato del presidente, l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, dopo averla definita per mesi «fake news», «bufala» e «caccia alle streghe», ha ammesso che la «collusion», ovvero la collaborazione tra la campagna elettorale di Trump e i russi c’è stata, ma all’insaputa di Trump.

Neanche gli sceneggiatori di The Americans, la serie tv su una famiglia di spie russe che vive sotto copertura di una vita borghese in America, avrebbero potuto immaginare quello che sta succedendo in questi giorni a Washington. Tanto che, vinto il Golden Globe a inizio gennaio, The Americans ha chiuso i battenti dopo sei stagioni, settantacinque puntate e parecchi riconoscimenti. Ma la realtà, o perlomeno l’ipotesi investigativa dell’FBI e del procuratore Mueller e dei mezzi di informazione e della Camera dei rappresentanti, supera di gran lunga la finzione hollywoodiana e il presidente degli Stati Uniti è costretto a rispondere a una domanda che si stenta a credere possa essere stata posta al leader del mondo libero: «Signor Presidente, lei è un asset dei russi?».

Trump si è difeso dicendo che una domanda così insultante non gli era mai stata rivolta in tutta la sua vita, poi si è accorto che, non avendo negato categoricamente, i sospetti sono addirittura aumentati e quindi ha dovuto successivamente specificare che «no, non ho mai lavorato per i russi», e ha riprovato a cambiare argomento continuando a chiedere svariati miliardi di dollari al Congresso per costruire un muro al confine con il Messico invocando un’emergenza umanitaria che non c’è e costringendo, in mancanza dell’approvazione del bilancio con cui pagare spese e stipendi, alla chiusura tutte le attività federali che fanno capo al governo di Washington. Che il 2019 sarebbe stato complicato per Trump era chiaro dal momento in cui, a novembre dello scorso anno, i democratici hanno conquistato la maggioranza alla Camera promettendo di inseguire una novantina di piste riguardanti Trump, i suoi rapporti con Mosca e il suo business in conflitto di interessi. Ma in pochi giorni gli eventi sono precipitati.

La prima pagina del New York Times di sabato 13 gennaio si apriva con questo titolo: «L’Fbi ha condotto un’inchiesta per capire se Trump lavorasse per i russi». L’inchiesta dell’intelligence del Bureau è partita, ha raccontato il giornale di New York, dopo che è stato lo stesso Trump a dire in televisione di aver licenziato il direttore dell’Fbi, James Comey, perché non lasciava cadere le voci su questa «cosa russa». L’indagine FBI, di cui non si sapeva nulla prima dello scoop del Times, è confluita in quella condotta da Mueller che ha già portato all’ammissione di colpa di alcuni reati, tra cui cospirazione nei confronti degli Stati Uniti, da parte dell’avvocato di Trump, del capo e del vice capo della sua campagna elettorale e da un gruppo di consiglieri di politica estera del Presidente, tra cui il primo Consigliere per la sicurezza nazionale dell’Amministrazione, Michael Flynn.

Il giorno successivo alle rivelazioni del Times, è toccato al Washington Post pubblicare un altro scoop talmente incredibile da apparire inverosimile, nonostante non sia stato affatto smentito dagli uomini della Casa Bianca: «Trump ha nascosto i dettagli dei suoi faccia a faccia con Putin ai suoi principali consiglieri nell’Amministrazione». Trump ha incontrato quattro volte Putin da solo, senza nessuno ad assistere all’incontro, e una quinta volta alla presenza del Segretario di Stato Rex Tillerson, poi licenziato. In un’occasione, il presidente ha preso possesso degli appunti presi dall’interprete, Maria Gross, imponendole di non discutere con nessuno, nemmeno con gli alti funzionari del’Amministrazione, di che cosa si era parlato durante il meeting. Il risultato è che non c’è alcun riscontro dei cinque incontri tra Trump e Putin, circostanza senza precedenti nella consolidata prassi politica americana, a maggior ragione se si considera che Trump ha incontrato il responsabile politico e militare, secondo le sedici agenzie di intelligence americane, dell’azione di interferenza russa sulle elezioni presidenziali del 2016. Le uniche notizie su quegli incontri, un paio dei quali durati oltre due ore, i servizi americani le hanno tratte dalla loro attività di spionaggio nell’apparato russo. Bizzarro.

Ovvio che tutto questo moltiplichi i sospetti su una presidenza che non solo si teme sia nata grazie anche all’ingerenza russa, peraltro invocata in campagna elettorale dallo stesso Trump, ma che una volta insediata ha perseguito tutti gli obiettivi di politica estera del tradizionale avversario russo, dalla destabilizzazione dell’Europa e della Nato, fino al ritiro occidentale dal Medio Oriente e al tentativo di smantellamento delle alleanze globali che hanno governato il mondo dal secondo dopoguerra a oggi.
Alla luce di queste rivelazioni, i deputati democratici chiameranno a testimoniare alla Camera chiunque possa spiegare che cosa davvero si sono detti Trump e Putin, a cominciare dall’interprete Maria Gross. I deputati chiederanno anche di visionare le note sequestrate da Trump all’interprete e, nel caso fossero state distrutte, le cose potrebbero ulteriormente complicarsi per il presidente sospettato dalla sua stessa Amministrazione, non solo dagli avversari politici, di lavorare per i russi. Il tutto, ovviamente, in attesa delle conclusioni dell’inchiesta di Mueller, il quale proprio nei giorni scorsi ha chiesto a una procura distrettuale di aspettare a emettere la sentenza penale nei confronti di Rick Gates, numero due della campagna elettorale di Trump, perché starebbe ancora collaborando con Mueller, a riprova che le indagini non sono concluse.

Il nuovo Attorney General, William Barr, nelle audizioni al Senato ha garantito che lascerà lavorare Mueller e che non lo licenzierà, nonostante le critiche precedenti, tanto che c’è già qualcuno convinto che Trump non l’avrà presa benissimo. Barr però ha aggiunto che potrebbe non rendere pubblico il rapporto finale che riceverà dalle mani di Mueller. Ci proverà, probabilmente, ma la Camera guidata dai Democratici potrà comunque ottenere il testo e poi chiamare a testimoniare, in seduta pubblica, lo stesso Mueller. Nelle scorse settimane la Casa Bianca ha assunto 17 avvocati, insomma la battaglia è appena iniziata, ma se Trump ha davvero ordinato al suo avvocato di mentire a proposito dei suoi affari con Mosca, mentre Mosca lo aiutava a essere eletto presidente, l’esito finale di questa incredibile vicenda è già scritto.

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