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Tutte le cantonate del neo-premier Conte sul fronte russo

Non solo la citazione sbagliata Dostoevskij-Puskin ma il ribaltamento della verità sul significato delle sanzioni che "mortificano la società civile russa" e altre meraviglie da hacker putiniano.

Nelle pagelle del nuovo governo Conte, in attesa della prova di economia, politica sociale, fisco e immigrazione, si profila già la prima bocciatura, in storia e letteratura russa. Un argomento solo a prima vista irrilevante, visto che è il rapporto con Putin a essere la principale svolta in politica estera promesso dalla coalizione giallo-verde. Lo sfoggio di cultura del neo presidente del Consiglio, che nell’aula del Senato ha citato Dostoevskij e Puškin, è di quelli che possono far fare un figurone, o portare a una figuraccia clamorosa. Pietra miliare del dibattito tra slavofili e occidentalisti dell’Ottocento, il discorso del primo all’inaugurazione del monumento al secondo, pronunciato nel 1880, è roba raffinata, alta slavistica. A parte la costruzione della frase – “prendo spunto dalle riflessioni di Dostoevskij tratte dalle pagine di Puškin” – che rende difficile capire chi ha tratto ispirazione da chi (alla morte del poeta il futuro autore di Delitto e castigo aveva 15 anni), Conte disturba i grandi della letteratura russa per definire il populismo: “l’attitudine della classe dirigente ad ascoltare i bisogni della gente”. Una frase che Dostoevskij non aveva mai detto né scritto, e con la quale non sarebbe d’accordo.

Monarchico, nazionalista, conservatore, convinto sostenitore della sacralità del governo, intriso di misticismo ortodosso e pieno di odio verso qualunque rivoluzione e rivoluzionario, Fiodor Mikhailovich non poteva essere una scelta peggiore di testimonial della rivolta antikasta pentastellata. Ma soprattutto, nel discorso su Puškin non aveva parlato di populismo né di sistemi di governo. I suoi strali erano tutti diretti all’intellighenzia filoeuropeista – e qui si potrebbe trovare d’accordo più con la Lega che con i 5 Stelle – che si era “staccata dal popolo” per proporre alla Russia l’odiato progresso del parlamentarismo. E per popolo si intende solo quello russo, portatore di quei valori spirituali assoluti che avrebbero redimere l’Europa “divisa e vacillante”. Una citazione sulla quale pochi giorni prima era già scivolato Emmanuel Macron, ricordando a Vladimir Putin come la vocazione europea sia geneticamente iscritta nel DNA russo. Peccato che Dostoevskij intendeva l’esatto contrario: dovevano essere gli europei a convertirsi alla mistica unione tra popolo e zar che il romanziere considerava il tratto vincente del popolo russo. Per un grillino sarebbe stato più appropriato citare Lenin, con la sua idea che anche una cuoca può governare uno Stato.

Una citazione colta infilata per soprammercato nel discorso al Senato, per di più copiata dal primo della classe Macron, tipica mossa di uno che deve uscire vivo da un tema sul quale non è preparato. Ma l’argomento è insidioso come le sabbie mobili, e si rischia di finire in un guaio ancora più grosso. A parte il piccolo particolare che il populismo russo del XIX secolo – al quale Dostoevskij era stato vicino in gioventù, prima di diventare il difensore più sfegatato dell’ordine costituito – era un movimento di ispirazione socialista nella teoria e di metodi terroristici nella prassi, e viene definito “populismo” solo in Italia, per un errore di traduzione le cui origini ormai sono difficili da rintracciare. Ma Conte ha sulla Russia delle idee abbastanza confuse, anche se è proprio il rapporto con Mosca che viene presentato come la rottura più importante della politica internazionale proposta dal suo governo. Il premier infatti promette che il suo esecutivo si impegnerà per revocare le sanzioni dell’Unione Europea contro il Cremlino, che “mortificano la società civile russa”. Basta aprire Wikipedia, il sito dell’Ue, o anche un qualunque giornale, per scoprire che le sanzioni – introdotte dal 2014 in poi per punire Mosca per l’annessione della Crimea e le guerre in Ucraina e in Siria – sono ad personam, e colpiscono circa 150 VIP del regime russo: oligarchi, ministri, generali dell’ex Kgb, comandanti della guerriglia nel Donbass, presidenti di banche vicine a Putin e commercianti d’armi. O Conte ha un’idea bizzarra sulla società civile, oppure non sa di cosa parla. Sono stati proprio gli esponenti della martoriata società civile russa – dissidenti, giornalisti, ONG – a indicare a Bruxelles molti dei bersagli da colpire con le sanzioni, che consistono essenzialmente nel congelamento dei (cospicui) conti e immobili europei degli oligarchi e dei ministri putiniani.

Tutto questo zelo nel mostrare simpatia per la Russia per ora non sembra venire apprezzato da Mosca. La citazione di Dostoevskij è passata inosservata dai media russi, che hanno seguito la travagliata telenovela della nascita del nuovo governo italiano con molta ironia. Analisti e diplomatici sono piuttosto scettici, e non solo perché il tradizionale interlocutore del Cremlino è Silvio Berlusconi, e il fatto che sia stato messo da parte dal suo junior partner è per Putin una brutta sorpresa. Le sanzioni avevano già promesso di abolirle in tanti: da Tsipras, all’epoca della crisi greca all’ungherese Orban, per non parlare poi della più grande delusione russa degli ultimi anni, Donald Trump, che ora invece ne introduce di nuove ogni mese. Dopo essersi fatti ingannare dalle promesse dell’uomo più potente del mondo, i russi non credono più alle parole, e non basterà una citazione sbagliata di Dostoevskij per conquistarsi la loro fiducia.

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