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Tutte le donne che potrebbero diventare il prossimo Presidente della Repubblica

Maria Elisabetta Alberti Casellati, Marta Cartabia, Anna Maria Tarantola, Anna Finocchiaro, Emma Bonino, Rosy Bindi: chi sono e cosa pesano le principali candidate a succedere a Mattarella alla più alta carica dello Stato

L’elezione del nuovo presidente della Repubblica che andrà a sostituire Sergio Mattarella, 80 anni, è prevista per l’inizio del 2022. I partiti già discutono di chi potrebbe sostituirlo garantendo i propri interessi: si parla molto del Presidente del Consiglio Mario Draghi, ma anche di Silvio Berlusconi, il quale eviterebbe così di doversi presentare alle udienze dei processi a suo carico. Si discute anche di Pier Ferdinando Casini, voluto da Matteo Renzi, e di Paolo Gentiloni, che piace in modo bipartisan e sarebbe quindi per Enrico Letta una scelta con più chances di vittoria rispetto a Walter Veltroni, Romano Prodi o l’onnipresente Dario Franceschini.

Ma perché non candidare una donna alla presidenza? Una simile decisione potrebbe avere conseguenze a cascata in un Paese in cui il gender gap è consistente in tutti i tutti i settori. E il PD potrebbe in questo modo riconquistare parte della popolarità persa nei giorni in cui si definiva la composizione del governo Draghi: le ministre sono in carica dallo scorso febbraio sono risultate appena 8 su 23 (e la maggior parte senza portafoglio). Nessuna di loro è del PD, perché evidentemente tra i dirigenti è mancata la volontà politica di imporne una.

I giornalisti del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro, Peter Gomez, Marco Travaglio e Furio Colombo hanno lanciato una petizione per sostenere la senatrice a vita Liliana Segre, ma Segre, 91 anni, ha già dichiarato di non avere la competenza necessaria: “Non l’avrei avuta nemmeno trent’anni fa”, ha detto di recente al Corriere della Sera, come aveva già dichiarato nel 2019. La senatrice, inoltre, è principalmente un’attivista, ed è improbabile possa essere eletta una personalità che ha iniziato a frequentare solo in tempi recenti i palazzi della politica.

Per essere eletto, il presidente o la presidente deve avere almeno 50 anni, e questo requisito blocca per il momento la strada a quarantenni che potrebbero trovare un certo riscontro, come Giorgia Meloni o Mara Carfagna a destra e Cecilia Strada o Ilaria Cucchi a sinistra. Elly Schlein è ancora più giovane, ha 36 anni. Laura Boldrini di anni ne ha 60, ma in Parlamento ha senz’altro più nemici che amici. Teresa Bellanova, 63 anni, si è così indissolubilmente legata a Renzi da essere condannata all’irrilevanza, così come le altre donne di Italia Viva. Alessandra Mussolini, 58 anni e un cognome che indica una storia per molti affatto problematica, ha lasciato la politica lo scorso dicembre, preferendole la tv e dichiarazioni spot, come quella a favore del ddl Zan.

Maria Elisabetta Alberti Casellati. Foto Wikimedia Commons

Ha senz’altro più possibilità la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. 75 anni, prima donna a ricoprire la seconda carica più importante dello Stato, Casellati ha aderito a Forza Italia sin dalla sua fondazione nel 1994 e in seguito è stata per due volte sottosegretaria di Stato e poi componente del Consiglio Superiore della Magistratura. Giurista cattolica, autrice di pubblicazioni sul tema della famiglia secondo il diritto canonico, figlia di un partigiano, Casellati è favorevole all’abolizione dell’IMU sulla prima casa, al possesso di armi per la difesa personale e all’autonomia del Veneto, mentre è contraria a qualsiasi avanzamento in tema di diritti: è contraria in particolare all’interruzione di gravidanza, alla fecondazione eterologa e al matrimonio tra persone dello stesso sesso, ed è convinta che la Bossi-Fini sia la migliore legge sull’immigrazione che si possa avere. Prima di annunciare il voto segreto che ha affossato il ddl Zan, l’immagine più nota dell’attuale presidente del Senato è stata a lungo quella che la ritrae insieme ad altre tre senatrici, tutte vestite di nero il 27 novembre 2013, giorno in cui il Parlamento ha votato la decadenza di Berlusconi come senatore, definita “un lutto per la democrazia”.

Marta Cartabia. Foto Wikimedia Commons

Un’altra giurista viene spesso indicata per la Presidenza: è la Ministra della Giustizia Marta Cartabia. Anche lei ha abbattuto il soffitto di cristallo, diventando nel dicembre 2019 la prima presidente donna della Corte Costituzionale, di cui è stata giudice per nove anni. Cartabia è europeista almeno quanto è anti-abortista. Fa parte di Comunione e Liberazione – di cui suo marito è stato tesoriere – ed è stata definita da uno dei leader di CL, Giorgio Vittadini, una “autentica nostra risorsa”. Negli articoli che fino al 2011 scriveva per Sussidiario.it si dichiarava contraria all’eutanasia e al matrimonio tra persone delle stesso sesso. Dieci anni più tardi, in qualità di ministra mostra toni più cauti: non si assume la responsabilità di definire le carceri come luoghi di violenza e nel partecipare all’anniversario della strage di Bologna non nomina la matrice fascista, ma pur essendo sulle stesse posizioni di Giorgia Meloni in tema di diritti è ben attenta a non condividerne, almeno pubblicamente, lo stesso vocabolario.

Anna Maria Tarantola. Foto Wikimedia Commons

Un altro nome che ricorre è quello di Anna Maria Tarantola, 76 anni, ex Presidente della Rai e dirigente della Banca d’Italia. Una manager, e pertanto tra le donne indicate per la presidenza della Repubblica quella che più si avvicina a Draghi per formazione, percorso professionale e interessi. Potremmo definirla una catto-economista. Laureata in economia alla Cattolica di Milano, è entrata in Banca d’Italia nel 1971 rimanendoci fino al 2012, quando ricopriva il ruolo di Vicedirettrice Generale, per assumere a quel punto la presidenza della Rai per tre anni. Nel 2021 è stata nominata membro del Consiglio d’indirizzo per la politica economica di Palazzo Chigi. Le sue pubblicazioni non riguardano solo banche e finanza, ma anche il ruolo delle donne nel mondo del lavoro. La foto più recente la ritrae accanto a Papa Francesco, avendo organizzato un convegno con la Fondazione Centesimus Annus Pro Pontifice di cui è presidente. Fondazione che secondo quanto riportato anche nel sito ufficiale “favorisce iniziative per sviluppare la presenza e l’opera della Chiesa Cattolica nei vari ambiti della società. È piuttosto chiaro, quindi, cosa dovremmo aspettarci da lei.

Anna Finocchiaro. Foto Wikimedia Commons

Una sorpresa potrebbe essere il ritorno di Anna Finocchiaro, che nel 1996 fu la prima ministra delle Pari opportunità in Italia, su proposta di Prodi. 66enne, una vita trascorsa in gran parte in Parlamento, che ha lasciato dopo ben 31 anni decidendo di andare in pensione nel dicembre 2018. È stata tra le donne più influenti della politica siciliana, dove non si dimenticano almeno due episodi: innanzitutto il legame con Salvo Andò, giurista che supervisionava il suo programma elettorale e che anni prima era stato accusato di voto di scambio, e poi quello con l’uomo della sua vita, Melchiorre Fidelbo, accusato di aver fatto pressioni sui dirigenti dell’azienda sanitaria locale per ottenere un appalto (anche se poi assolto).

Emma Bonino. Foto Wikimedia Commons

Una candidatura che piace a molti è quella di Emma Bonino. 73 anni, bocconiana, leader radicale. Eletta per la prima volta alla Camera nel 1976, poi due volte ministra e una volta vicepresidente del Senato, Bonino è nota dagli anni Settanta per aver fondato allora il Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto e per essersi autoaccusata del reato di procurato aborto. A tutt’oggi forse la parlamentare che più ha difeso questa scelta rivendicandola in ogni avventura politica. Lo scorso marzo ha lasciato +Europa, che ha co-fondato, dicendo “Me ne vado a testa alta prima che mi facciate fuori voi”, ma in luglio è tornata a farne parte quando quando l’assemblea ha decretato la fine dell’era di Simona Viola (che aveva siglato un’alleanza con Calenda per far parte insieme del Gruppo Misto) e l’inizio di quella di Riccardo Magi. Se Bonino diventasse Presidente della Repubblica non ci sarebbero dubbi sul suo impegno per una legge fondamentale, quella sulla cittadinanza, necessaria per più di un milione di persone, e in tema di diritti civili più in generale.

Rosy Bindi. Foto Wikimedia Commons

Ma la figura politica che sembra raccogliere i maggiori consensi in queste settimane è Rosy Bindi. 70 anni, laureata alla LUISS in Scienze Politiche e poi ricercatrice in Diritto Amministrativo, negli anni Ottanta ha visto uccidere dalle Brigate Rosse Vittorio Bachelet, docente democristiano di cui era assistente universitaria. È stata poi vicepresidente nazionale di Azione Cattolica, componente della DC, del PPI e poi dell’Ulivo, e ha visto varare una riforma della sanità che porta il suo nome. Come Ministro per le politiche per la famiglia è stata attaccata dalla Chiesa da un lato e dalle associazioni LGBT+ dall’altro per aver sostenuto i DICO, una forma di attestazione di ogni forma di convivenza scritta per scongiurare la richiesta del matrimonio egualitario. La sua posizione in merito è nota una volta di più con l’affermazione secondo cui “È meglio che un bambino stia in Africa con la sua tribù, piuttosto che cresca con due uomini o due donne”. Ma già in quegli anni nel 2005, l’indagine MODI:DI finanziata dall’Istituto Superiore di Sanità rivelava che il 18% dei gay e il 21% delle lesbiche over 40 ha dei figli, e negli ultimi 15 anni questa percenutale è senz’altro aumentata attestandosi come una realtà che non può essere ignorata dalla legge.

Bindi in seguito si è concentrata su altri temi. Al campione di bodyshaming Silvio Berlusconi che nel 2009 nel salotto dell’amico Bruno Vespa la definì “più bella che intelligente” rispose senza esitazione: “Sono una donna che non è a sua disposizione”, riferendosi alle note abitudini dell’ex premier. Da sempre fedele a Romano Prodi, ha lasciato la presidenza del Partito Democratico nel 2013, nel momento in cui ha visto svanire per lui la possibilità numerica di diventare presidente della Repubblica. Qualche mese fa ha dichiarato di non aver rinnovato la tessera del PD e la sua attività sembra ora concentrarsi sull’impiego come docente alla Pontificia Università Antonianum, dove tiene un corso sui temi della legalità e del contrasto alle mafie dopo essere stata dal 2013 al 2018 presidente della Commissione parlamentare antimafia. Ed è proprio questa nuova immagine a favorirla nella corsa verso il Quirinale, sostenuta da Prodi e da molte donne.

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