Per essere uno che pubblicamente li adora così tanto, Matteo Salvini ha fatto piuttosto poco per loro. Eppure il Ministro dell’Interno uscente aveva speso gli ultimi due anni della sua vita a martellare il Paese sulla necessità di misure in favore dei “poveri italiani”. Formula piuttosto vaga, che però lui ha abilmente definito, contrapponendola ad altre due categorie. I “ricchi” e “professoroni” (Roberto Saviano, Gad Lerner, Michela Murgia, ecc.) e gli “immigrati”. Se finora la sinistra si era occupata di queste due categorie, è il senso della narrazione salviniana, adesso è arrivato il leader leghista in soccorso dei poveri connazionali dimenticati dalla politica. La strategia ha funzionato: Salvini è stato votato e applaudito in ogni piazza da migliaia di elettori, compresi quelli delle fasce più povere della popolazione, pronte ad accoglierlo come l’uomo del riscatto. Adesso che la sua esperienza è finita, però, vale la pena ricapitolare quali delle sue tante promesse nei loro confronti siano state veramente realizzate.
L’operazione comunicativa più eclatante, e forse la più antipatica, è stata quella sui terremotati. Da anni il Ministro ha deciso che c’è una sorta di reciproca esclusione tra i soccorsi ai migranti e gli aiuti ai terremotati: “Ci sono ancora migliaia di italiani terremotati fuori dalle loro case. Io mi voglio occupare prima di loro. Sbaglio? #primagliitaliani”, questo è stato uno dei suoi tanti tweet sul tema. Ancora in campagna elettorale aveva girato le località terremotate del Centro Italia, indossando le varie felpe con i nomi dei paesi che visitava e promettendo aiuti immediati ai cittadini. Che però non sono mai arrivati: la ricostruzione delle città terremotate è ancora al palo e oltre 50 mila italiani rimangono senza casa.
Se ne sono accorti anche gli stessi elettori di quelle zone. A gennaio l’allora sindaco di Amatrice ha sentenziato: “Il governo si è dimenticato di noi. La ricostruzione non è mai partita, non possiamo accettarlo”. A marzo il sindaco de L’Aquila si è dimesso per protestare contro l’inefficienza nella distribuzione dei fondi per ricostruire la città. A maggio alcuni rappresentanti dei terremotati del Centro Italia hanno organizzato una protesta davanti a piazza Montecitorio, dicendo di considerare “tradite le roboanti rassicurazioni della campagna elettorale”.
Anche per i poveri italiani che una casa ce l’hanno, inoltre, il ministro non ha fatto molto altro. Non ha tagliato le accise sulla benzina, nonostante a 72 ore dalle elezioni si fosse giocato proprio quella carta jolly: “Cosa faccio se vinco le elezioni? Taglierò dal 5 marzo sette accise”. Non ha introdotto la flat tax, nonostante avesse promesso “due aliquote fisse al 15 e al 20%, realizzabili da subito” per tutti. Il risultato, dopo mesi di roboanti dichiarazioni, è un estensione del regime dei minimi per le partite Iva voluto da Renzi (15% per chi fattura meno di 65 mila euro).
Inoltre non ha innalzato le pensioni d’invalidità, né quelle minime per gli italiani (sotto i 500 euro), nonostante avesse già chiaro tutto, visto che aveva spiegato in campagna elettorale che i soldi per alzare le pensioni agli italiani li avrebbe trovati facilmente abbassando quelle ai migranti. “Pensioni sociali pagate a persone arrivate qua per ricongiungimento familiare senza che abbiano mai versato una lira in Italia? Secondo me non è giusto”, la sua argomentazione.
Nei 14 mesi in cui è stato vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini non ha esteso l’esenzione totale dalle tasse universitarie per i poveri studenti italiani e non ha attuato fino in fondo la nuova politica per le case popolari, da dare ovviamente prima agli italiani (si è limitato a una circolare che esortava i prefetti a eseguire sgomberi più tempestivamente).
E che dire delle categorie che gli sono tanto care storicamente? La prima è quella dei pastori sardi, che a febbraio hanno protestato contro il crollo del prezzo del latte di pecora dagli 85 ai 60 centesimi al litro. “Ho incontrato i pastori sardi. Obiettivo: risolvere il problema entro 48 ore”, diceva sicuro il Ministro il 14 febbraio. “Il prezzo deve arrivare a un minimo di 1 euro al litro. Non mi alzerò dal tavolo sul latte fino a quando non lo ottengo”. Qualche ora dopo s’è alzato: il prezzo del latte è risalito, ma fino a 74 centesimi, e solo tre mesi e parecchie proteste dopo.
La seconda categoria è quella dei poliziotti. Come fa notare il puntuale Checkpointpromesse.it (sito che monitora la realizzazione delle promesse del Governo) il leader leghista, che pure ama indossare la divisa della polizia, non si è mai occupato di rinnovare il contratto di lavoro degli agenti, scaduto da diversi mesi. E così sul portale del sindacato della Cgil Silp figura un contatore che ricorda al ministro i giorni trascorsi “senza contratto per gli uomini e le donne in divisa”.
Niente, la speranza per chi vuole essere aiutato operativamente da Salvini è forse quella di diventargli nemico. Numeri alla mano, il ministro ha speso molte più parole, tempo, tweet e provvedimenti per occuparsi dei migranti, piuttosto che dei “poveri italiani”.