Tutte le foto di Ilaria Magliocchetti Lombi
L’8 aprile 2016 è stata pubblicata la notizia di una visita programmata il 15 aprile del Senatore Bernie Sanders, a.k.a. il candidato democratico/socialista alle primarie per la Casa Bianca che piace alla gente che piace, in Vaticano. In realtà il Papa non c’entra – l’invito è per la celebrazione dei 25 anni dell’enciclica Centesimus Annus di Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia di Scienze Sociali. La storia dell’invito è piuttosto divertente: durante la trasmissione The View (il programma americano in cui cinque presentatrici più o meno famose ascoltano gli ospiti annuendo forte), una delle presentatrici dice al pubblico che il Papa ha invitato Bernie Sanders a incontrarlo in Vaticano, e mentre il pubblico urla, Sanders fa degli enormi “sì sì” con la testa.
Il Papa risponde “no no”, si precisa che non è la persona che lo ha invitato in Vaticano, che non sono previsti incontri, e che il Senatore sarà in Vaticano per altre ragioni che non hanno a che fare con lui e il Governo della Santa Sede. Per chi come me ha la fregola di incontrarlo nel suo unico passaggio in Italia, la notizia che il Papa non c’entrasse nulla era solo positiva.
La Pontificia Accademia di Scienze Sociali è nata nel 1994, studia temi come il lavoro o la globalizzazione e fornisce i risultati dei suoi studi per la cosiddetta “dottrina sociale”, cioè l’insieme di teorie cattoliche sui problemi di tipo socio-economico. Per fare un esempio: se in un’enciclica si parla delle conseguenze della fine della guerra fredda, di crisi del marxismo, di come le democrazie europee devono comportarsi nei confronti dei paesi dell’ex blocco sovietico, quella è dottrina sociale – nello specifico, questi temi sono stati trattati nell’enciclica Centesimus Annus, quella della conferenza a cui è stato invitato Sanders.
Quando contatto l’Accademia chiedendo della possibilità di partecipare all’evento mi risponde Michael Shank, capo della comunicazione del Sustainable Development Solutions Network delle Nazioni Unite e responsabile della comunicazione di Jeffrey Sachs – professore alla Columbia, direttore dell’Istituto della Terra, economista dietro il passaggio dal modello comunista a capitalista in nazioni del Sud America e dell’Europa dell’Est, esperto di questioni ambientali dietro l’enciclica di Papa Francesco Laudiato Sii (quella sul cambiamento climatico), anche lui tra i relatori all’evento. Ah, è anche un neo-malthusiano, sostiene la promozione della contraccezione nei paesi poveri per ridurre le nascite e promuovere uno sviluppo sostenibile – non è il primo e non sarà l’ultimo a occuparsi di clima che a una certa dice che siamo in troppi sul pianeta, ma così la pensa chiunque sia passato a Milano per il Salone del Mobile.
Shank è gentile e rapido nel rispondere alle mie mail, mi dice che sta gestendo gli inviti all’evento e appena saprà l’esatta capienza mi darà specifiche più precise, e probabilmente ci sarà la possibilità di fare qualche domanda a Sanders. Un paio di giorni dopo la speranza si crepa quando Shank manda una mail dicendo che da quel momento la gestione delle richieste di accesso all’evento passano per la Sala Stampa Vaticana. Le crepe diventano ancora più visibili quando provo a chiedere direttamente all’organizzatore dell’evento, Monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, se sarà possibile incontrare Sanders per un paio di domande, e mi risponde di non saperlo, ma approfitto della telefonata con lui per chiedergli la storia di questo invito.
Monsignor Sanchez spiega che trattandosi di un evento sul rapporto tra politica e affari sociali, è ovvio che siano presenti politici: ad esempio ci saranno anche il presidente uruguaiano Rafael Correa e il Presidente boliviano Evo Morales – entrambi appartenenti a partiti di sinistra anticapitalista. Ma la scelta di Sanders rispetto ad altri politici è in effetti legata al Papa, «È l’unico candidato alle presidenziali ad aver citato più volte Papa Francesco. Gli altri non l’hanno fatto, qualcuno l’ha persino criticato», conscio di non aver scelto il candidato più probabile alla Casa Bianca. «Per parlare di politica non possiamo invitare filosofi, invitiamo politici, gente che ha in mano la responsabilità dei temi di cui parliamo» ribadisce, dicendo di non capire «tutto questo scandalo» dietro l’invito. Gli faccio notare che la scelta di invitare Sanders è più positiva che altro, e mi ringrazia per il sostegno della scelta.
Quando gli chiedo se il Papa incontrerà Sanders, mi risponde che non può dirlo, che si sa dell’incontro ufficiale con Correa, ma con il Senatore non sono previsti incontri ufficiali.
L’intervista con Monsignor Sanchez mi apre le porte verso i contatti diretti dei campaign manager di Sanders. Sto ancora aspettando una risposta. Parto da Milano con la sola certezza di un accredito stampa. La notte prima sogno che il campaign manager di Sanders mi telefona dicendomi “Don’t come to the Vatican, it’s a scam” (“Non venire in Vaticano, è una truffa”) e mi indirizza verso una spiaggia, dove troverò Sanders e Iggy Pop attorno a un falò a cantare.
Venerdì 15 aprile alle 13.00 il sole splende sul Vaticano e riflette sui bassorilievi nei marmi della Casina Pio IV, sede della Pontificia Accademia di Scienze Sociali. In giro non c’è nessuno se non pappagallini che fanno nidi sulle palme e gendarmi sorridenti – come immagino sia il paradiso. Io e la fotografa arriviamo nel momento in cui la sala stampa è chiusa per il pranzo degli invitati, e insieme ad alcuni giornalisti rimasti fuori dalla Casina scopriamo che in paradiso non ci sono bar.
I giornalisti presenti sono di due categorie: gli ordinari e i temporanei. Gli ordinari sono i giornalisti delle testate cattoliche o di grandi testate nazionali e internazionali con l’accreditamento appunto ordinario, che ringraziano i lavoratori della sala stampa con un soprannome e snocciolano gli appuntamenti degli invitati come li avessero fissati personalmente. I temporanei hanno il pass giornaliero e fanno solo ed esclusivamente domande su Bernie Sanders: quando arriva? Quanto resta? È atterrato? Si fa intervistare? Il programma pare questo: alle 14 Sanders dovrebbe atterrare a Ciampino, arrivare in Vaticano, fare il suo discorso, presentarsi per delle foto, andarsene prendendo l’uscita del Perugino, ripartire il giorno dopo alle 9. Solo due testate potranno riprendere il suo discorso, gli altri possono entrare, fare un paio di foto e poi andarsene. E non sperate neanche di intervistarlo.
Quando riapre la Casina, i giornalisti devono stare nelle prime due sale, dove sarà possibile seguire il convegno su due teleschermi senza traduzione. Il primo intervento del Presidente Correa è in spagnolo, e lo sarà anche quello seguente di Rocco Buttiglione (fa parte dei membri ordinari dell’Accademia) e il botta e risposta successivo. Non ho capito nulla di ciò che hanno detto, tranne la frase di Correa in risposta a Buttiglione: “Per sconfiggere la povertà non ci vuole carità, ci vuole giustizia”. Come mi scrive Michael Shank in una delle mail, l’intenzione dell’evento è anche quella di fare un confronto tra il Nord e il Sud America riguardo i temi dell’economia “morale”, dello sfruttamento degli esseri umani e dell’ambiente: «Il fatto che Sanders abbia accettato di venire in Vaticano per incontrare altri leader progressisti sposta l’ago della bilancia verso la pace, la giustizia e l’uguaglianza. È un avviso chiaro verso la comunità internazionale: il business come si è fatto finora, cioè sfruttando le persone e il pianeta, non può andare avanti.»
L’arrivo di Sanders lo vediamo in diretta tv dalla sala stampa. Per la prima volta l’inquadratura si allarga sulla sala, dove ci sono almeno una decina di posti vuoti. Un po’ fa rosicare, ma anche guardare il televisore piazzato accanto a un enorme dipinto di Papa Francesco circondato da fedeli festanti ritratti da un pittore cinese non è male. Prima che inizi a parlare, il Monsignor Sanchez legge una lettera di scuse del Papa, che non potrà venire perché deve prepararsi per la visita a Lesbo di sabato.
Il discorso di Bernie Sanders è stato pubblicato integralmente sul sito del Senatore poco prima dell’intervento. Citando l’enciclica Centesimus Annus per quel che riguarda l’economia morale e il Laudato Sii sui temi del cambiamento climatico, Sanders parla dell’aumento del gap tra ricchi e poveri, di un’economia delle corporation non regolamentata che controlla anche la politica, delle truffe di Wall Street diventate un nuovo modello politico, delle banche ancora “too big to fail”, di diritti dei lavoratori sempre più in pericolo. Ma anche della speranza delle nuove generazioni, stanche del sistema corrotto e dello sfruttamento del pianeta, e di come la tecnologia a nostra disposizione in questo momento possa permetterci di lavorare per migliorare le condizioni del pianeta. La sostanza del discorso (a parte i rimandi papali) è la stessa dei suoi speech elettorali, e nonostante non sia stato introdotto da una band indie e non si sia sbracciato come il solito, il messaggio è comunque impossibile da ignorare. Difficile non volergli bene.
Finite le strette di mano con i presenti, Sanders esce dalla sala, e ci uniamo a un gruppo di giornalisti che sembra sapere dove andare. Il senatore arriva in macchina alla porta del Perugino, uno degli accessi laterali al Vaticano, e mentre cammina con la moglie verso una piccola folla di sostenitori americani e di giornalisti già schierati, cerco di affiancarlo – le guardie del corpo non sono d’accordo, il massimo contatto che riesco a ottenere è di finire nella sua stessa inquadratura al TG1 delle 20.
Sanders stringe le mani del ragazzi con le t-shirt della campagna fatte in casa e i cartelloni con l’hashtag #feelthebern poi viene circondato dalla folla dei giornalisti ancora con il fiatone dopo aver seguito la macchina. Per la prima volta provo “la mischia”, identica a quella del rugby, solo che al posto di menarsi per prendere la palla ci si interseca gli uni con gli altri per avvicinare il più possibile il proprio registratore/cellulare/videocamera verso il personaggio di turno. Mentre con il braccio teso cerco di registrare Sanders che loda la volontà di Papa Francesco di parlare di economia morale e della necessità di non lasciare il controllo al mercato, che ha permesso lo sfruttamento del pianeta e il cambiamento climatico (sostenuto da Jeffrey Sachs), alcuni giornalisti dietro di me appoggiano timidamente i loro gomiti stanchi sulle mie spalle. Dico di fare pure, io resisto pensando intensamente di essere a una lezione di crossfit.
Risponde a una sola domanda, riguardo il motivo per cui ha scelto di staccarsi temporaneamente dalla campagna elettorale in America per venire in Vaticano, e ribadisce il supporto verso la visione di Papa Francesco soprattutto sul tema del surriscaldamento globale, e di non aver potuto rifiutare un invito del genere. Alla seconda domanda, il Senatore risale in macchina e torna in meno di un minuto alla Casina. Noi pochi giornalisti che decidiamo di tornare indietro ci mettiamo cinque minuti, e sulla strada altri giornalisti decisamente più addentro alle questioni vaticane dicono che Sanders è registrato nell’elenco dei visitatori a Casa di Santa Marta, la residenza di Papa Francesco in Vaticano – la soffiata è di un giornalista americano, a cui ribatte una collega inglese «Who told you?», e lui «If I’ll tell you, I’ll have to kill you», con l’aria di chi l’aveva già fatto.
Sanders e Sachs rispondono ad alcune osservazioni fatte dagli altri partecipanti alla conferenza, mentre i pochi giornalisti rimasti che stanno a guardare gli schermi si trovano in mezzo ai preparativi per la cena – alle 18.30. Quando capiamo che non sarà possibile fare un paio di domande a Sanders neanche ora, salutiamo il capo della Sala Stampa, a cui dico una cosa tipo «siete meno peggio di come vi raccontano» perché mi pareva brutto andare via lasciando una buona impressione.
Sabato mattina le agenzie battono la notizia che Sanders ha incontrato il Papa. Subito dopo, e per la terza volta, Francesco prende le distanze dicendo che era una semplice stretta di mano data solo per educazione, niente di politico. Prendere le distanze per tre volte fa così San Pietro.
Le due domande che volevo fare al Senatore Sanders erano: come risponde a chi sostiene che votare per lui sia fare un “voto di protesta” e che questi non siano i tempi giusti per un voto del genere; come manterrà i giovani attivi politicamente anche dopo una sua eventuale elezione e come gestirà da capo di stato il rapporto tra politica e protesta. Nel caso qualcuno del suo staff volesse tradurgliele e fargliele avere, grazie mille.