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Le parole impiegate nella sentenza con cui, ieri, la Corte d’Appello di Torino ha assolto un uomo – che era stato condannato in primo grado a 2 anni e quasi tre mesi di carcere – accusato di stupro sono talmente assurde, irricevibili e anacronistiche da riportare chi legge indietro nel tempo: non sembra una pronuncia scritta nel 2022, ma negli anni Cinquanta, ai tempo del delitto d’onore, oppure in un qualche tipo di distopia in stile The Handmaid’s Tale. Infatti, il ritornello inquietante che scandisce ogni periodo del testo è un implicito “Se l’è cercata”: riecheggia quell’idea secondo cui la donna vittima di violenza, alla fin fine, non sia totalmente prive di colpe, perché avrebbe in qualche modo tentato o provocato l’aggressore o fatto intendere qualcosa di diverso da ciò che realmente desiderava.
Questa è parte della sentenza con la quale un uomo accusato di stupro è stato assolto dalla Corte di Appello di Torino. Grazie a @radiopopo (e @albertiradiopop) che ha deciso di aprire con questa notizia l'edizione delle 19.30 in onda tra poco. pic.twitter.com/DVpJEBwfSE
— rita rapisardi (@ritarapis) July 7, 2022
Nelle motivazioni, infatti, i giudici hanno scritto che «Non si può affatto escludere che all’imputato la giovane abbia dato delle speranze, facendosi accompagnare in bagno, facendosi sporgere i fazzoletti, tenendo la porta socchiusa, aperture lette certamente dall’imputato come un invito ad osare». Non si capisce in che modo una richiesta normalissima come quella dei fazzoletti possa essere letta come un «invito a osare», e neppure come accompagnare una persona in bagno possa tramutarsi in delle “false speranze”; eppure, a detta dei giudici, la giovane «Si trattenne in bagno, senza chiudere la porta, così da fare insorgere nell’uomo l’idea che questa fosse l’occasione propizia che la giovane gli stesse offrendo. Occasione che non si fece sfuggire».
Ma andiamo avanti, perché il grottesco non si esaurisce di certo qui. Dopo aver precisato che la vittima, al tempo, «era alterata per un uso smodato di alcol» (anche qui: quindi?), i giudici si sono prodigati in una difesa fantozziana dell’imputato. Anche se l’aggressore, infatti, «non ha negato di avere abbassato i pantaloni della giovane», rompendo addirittura la cerniera, secondo il giudice della Corte d’Appello «nulla può escludere che sull’esaltazione del momento, la cerniera, di modesta qualità, si sia deteriorata sotto forzatura»: di cosa stiamo parlando?
Dinanzi a uno scempio del genere la procura ha, ovviamente, fatto ricorso in Cassazione, spiegando che «la corte dimostra di non applicare i principi giurisprudenziali in tema di consenso all’atto sessuale» e che «non risulta provata la mancanza di dissenso da parte delle persona offesa, anzi risulta evidente la sussistenza di un dissenso manifesto»: secondo il sostituto procuratore Quaglino, infatti, la vittima avrebbe manifestato il suo dissenso a parole e a gesti e nessuno dei suoi comportamenti potrebbe aver indotto l’imputato a pensare che ci fosse un qualche tipo di consenso. Ora: c’è da attendere ancora il terzo grado di giudizio, ma il fatto che, nel 2022, dei giudici possano addurre delle motivazioni di questo genere, beh, dovrebbe farci riflettere sul grado di arretratezza e maschilismo che, ancora oggi, caratterizza alcuni poteri dello Stato.