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Una settimana su Mastodon, il ‘fediverso’ dei nemici di Twitter

Mastodon è nato più come un atto di accusa al monopolio aziendalistico delle big tech, che come un progetto fruibile vero e proprio. Questo però favorisce una riflessione: il fatto che con poco sforzo si possa creare un’alternativa più o meno valida a Twitter non dovrebbe far tremare i polsi a Elon Musk?

Foto di Rafael Henrique/SOPA Images/LightRocket via Getty Images

Mastodon esiste da quasi sei anni. Eppure, era di fatto sconosciuto fin quando Elon Musk non ha acquisito Twitter, pagandolo la bellezza di 44 miliardi di dollari. Posto che con quei soldi Mr.Tesla avrebbe potuto comprare il Barcellona, il Real Madrid, il Bayern Monaco, il Manchester United, il Liverpool, il Manchester City, il Chelsea, l’Arsenal, il Paris Saint Germain, il Tottenham, la Juventus, il Borussia Dortmund, l’Atletico Madrid, l’Inter e l’Everton, ha scelto invece di buttarsi sul suo social preferito, generando non poco scompiglio tra tutti quegli utenti che hanno paura di un potere centralizzato, soprattutto nelle mani di un uomo solo.

È proprio questo il principio alla base di Mastodon, piattaforma aperta dal tedesco Eugen Rochko che ha visto un’esplosione delle ricerche Google tra il 26 e il 28 aprile (i giorni in cui Musk ha annunciato di comprare Twitter), per poi calare, come prevedibile. Se infatti il funzionamento è lo stesso dell’app dell’uccellino (con l’assenza dell’opzione di retweet e commento, considerata troppo controversa perché spesso genera odio), c’è una grossa differenza. Twitter è un social centralizzato, che ha un solo server e che mostra i tweet in base a un algoritmo; Mastodon è invece un fediverso, un universo digitale federato, in cui ogni utente può creare il suo server e in cui i post vengono mostrati. Solamente in ordine cronologico.

Preso dalla curiosità, ho passato qualche giorno su questa nuova realtà, rimanendo moderatamente deluso. Prima cosa: bisogna iscriversi (e non è così facile). Bisogna inserire la propria mail e scegliere una istanza, ossia un server a cui appartenere. Essendo totalmente nuovo, ho scelto il dominio “@ferri@mastodon.uno”. Mastodon.uno è infatti l’istanza più grande in Italia, quella in cui si trattano temi generalisti. Secondo un sondaggio, il 92% degli iscritti ha tra i 20 e i 60 anni e sono perlopiù persone scontente di una paventata censura su Twitter, che è considerato il nemico assoluto, qualunque cosa accada.

Solo per fare un esempio: il 28 aprile scorso è stata data la notizia della morte di Mino Raiola, il re dei procuratori calcistici, notizia poi smentita dal suo medico, il Dottor Alberto Zangrillo, proprio su Twitter. Nelle circa due ore tra il diffondersi di quella che era a tutti gli effetti una fake news (Raiola è poi effettivamente morto due giorni più tardi) e il tweet di Zangrillo, sui social tantissimi tifosi hanno espresso cordoglio o hanno comunque parlato di un personaggio famoso, dato per morto da tutti i principali media italiani.

Appena Zangrillo ha detto al mondo che Raiola era in condizioni gravissime, ma che stava lottando, a dispetto delle speculazioni mediatiche, su Mastodon sono iniziati a fiorire “toot” (equivalenti ai tweet) che ironizzavano sui “soliti sciacalli di Twitter”. Questo atteggiamento di diffidenza, che a me è sembrato l’equivalente digitale del parlare male della ex che ti ha appena lasciato, mi ha convinto, il giorno seguente, a fare il primo toot della mia vita, giusto per provare un’emozione forte. Ho quindi lanciato un sondaggio che recitava «Cosa vi aspettate da Mastodon?». Il 57% dei votanti ha risposto “libertà”, il 28 “autonomia di scelta”, il 14 “meno controllo dall’alto”, mentre nessuno ha risposto “in realtà sono già delus*”. Questo perché il sottoscritto non ha votato.

Mastodon risulta molto macchinoso. È complesso passare da un’istanza all’altra, è difficile avere interazione e in generale si capisce che dai, Twitter è diverso, è innegabilmente meglio. Se da un lato la scelta di non avere un algoritmo dominante è interessante e eticamente giusta, dall’altra mi sono accorto subito di quanto fosse fastidioso navigare su una piattaforma senza la guida sicura di una filter bubble che mi portasse sotto gli occhi gli argomenti che preferivo, con il risultato che spesso mi sono trovato a scrollare in mezzo a toot meno interessanti, per tornare presto al punto di partenza perché comunque la mole dei post è quel che è.

Ora, passato un po’ il clamore, alcuni cominciano a rivendicare la loro fedeltà a Mastodon, tra chi dice “io c’ero dal 2016” e chi attacca i nuovi arrivati, che sono trattati un po’ come gli ultras trattano chi va poche volte allo stadio. Questi “occasionali del mastodonte” hanno lasciato una scia di account passivi, rafforzando i duri e puri.

Ci sono però cose positive in un’esperienza che sarà inevitabilmente simile a quella che fu di Clubhouse: il fatto che ognuno può creare una istanza favorisce la nascita di gruppi di interesse. Se per esempio a un utente piace la musica country può creare l’istanza @mastodon.country e raccogliere tutti gli amanti del banjo e della vita nel Texas, un po’ come se si fosse in un forum. Inoltre, iniziative come quella della Commissione Europea, che nell’ottica di sostenere i social open source ha aperto un profilo su Mastodon, danno un aspetto più istituzionale a tutto il progetto, che ha un’allure meno piratesca e più etica. Iniziative come la nascita e la diffusione di hashtag come #mastoradio vi faranno passare qualche minuto di allegria con la musica scelta dagli utenti. Infine, c’è un’opzione che permette di “migrare” l’account Twitter su Mastodon, creando una copia carbone del proprio feed. Ogni tweet diventerà un toot, con l’unico inghippo che non si potrà interagire con l’autore.

In definitiva, Mastodon è nato più come un atto di accusa al monopolio aziendalistico delle big tech, che come un progetto fruibile vero e proprio. Questo però favorisce una riflessione: il fatto che con poco sforzo si possa creare un’alternativa più o meno valida a Twitter non dovrebbe far tremare i polsi a Elon Musk?

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