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Un’estate italiana non è un’estate italiana senza una crisi di governo

Giuseppe Conte vuole staccare davvero la spina al governo Draghi?

Foto: Marco Cantile/LightRocket via Getty Images

Un’estate italiana non sarebbe un’estate italiana senza la minaccia (vera o presunta) di una crisi di governo: sembra passata un’eternità dal terremoto politico che, nell’estate del 2019, sfociò nella dipartita del governo giallo-verde, consegnando alla memoria collettiva istantanee difficilmente dimenticabili (lo strappo del Papeete, il sussulto di dignità di Conte davanti al Parlamento riunito in seduta comune).

Dopo tre anni (e con la caduta di un altro governo, quello giallorosso, nel mezzo) potremmo ritrovarci a vivere uno scenario simile: ieri i deputati del Movimento 5 Stelle, su mandato del leader politico Giuseppe Conte, non hanno partecipato al voto finale alla Camera del cosiddetto “decreto Aiuti” – un decreto legge adottato dal governo Draghi che predispone alcuni aiuti economici alle imprese e alle famiglie per limitare le conseguenze della guerra in Ucraina sull’economia italiana. La scelta dei Cinque Stelle è dovuta alla contrarietà del partito ad alcune misure inserite nel decreto, tra cui alcune modifiche che dovrebbero interessare il reddito di cittadinanza, la previsione di un finanziamento per la realizzazione del termovalorizzatore di Roma e il mancato rinnovo del cosiddetto Superbonus edilizio, ideato proprio dal M5S.

Giovedì il decreto arriverà in Senato dove, a differenza di quanto accaduto alla Camera, il voto di fiducia al proseguimento dell’attività del governo Draghi e quello sul provvedimento non potranno essere disgiunti – di conseguenza, bocciare il decreto equivarrebbe a sfiduciare il governo.

Ora: il condizionale, chiaramente, è d’obbligo. La minaccia di una crisi di governo per esercitare pressioni e ottenere l’inserimento dei propri desiderata all’interno di un provvedimento fa parte della normale grammatica istituzionale: nulla di strano, l’impasse potrebbe essere superata nel giro di poche ore.

Il rischio, però, c’è e, nel caso in cui il governo Draghi dovesse cadere, Conte potrebbe finalmente dimostrare di contare qualcosa, rivendicando un peso politico che molte voci hanno messo in discussione: nelle ultime settimane in tanti hanno sottolineato il suo immobilismo, la sua leadership traballante e la scarsa capacità di controllo sull’operato dei gruppi parlamentari – ad esempio, nella giornata di ieri, il deputato del Movimento 5 Stelle Francesco Berti non si è unito all’ammutinamento dei propri colleghi di partito, scegliendo di votare a favore del decreto perché «due crisi di Governo in una legislatura sono già troppe». È chiaro che uno scenario simile non ammetterebbe mezze misure: innescare la crisi potrebbe proiettare Conte nuovamente alla ribalta nazionalpopolare o condannare definitivamente il Movimento all’inesistenza. La seconda opzione è quella suggerita dal Corriere della Sera, secondo cui il M5S, consci del danno che un’eventuale caduta del governo potrebbe provocare al suo già (risicato) consenso elettorale, starebbe soltanto giocando di strategia («La crisi non c’è perché è il M5S che non la vuole, nonostante la stia provocando», ha scritto Francesco Verderami)

E però quella della crisi è più di una suggestione anche a causa dell’atteggiamento di Lega e Forza Italia, che nelle ultime ore starebbero valutando la possibilità di defilarsi dalla maggioranza – anche perché, nel caso, potrebbero addossare le colpe della crisi proprio all’atteggiamento del M5S, oltre che alla volontà di affossare due proposte parecchio invise ai propri elettori, ossia lo “ius scholae” e la legalizzazione della cannabis.

Se Conte dovesse rivelarsi l’ago della bilancia, dovrà assumersi tutte le responsabilità del caso: staccare la spina al governo in una fase delicatissima, scandita dai contraccolpi economici della guerra in Ucraina, dalla recrudescenza della pandemia e dall’emergenza siccità è una scelta radicale e potenzialmente pericolosa. Chi vivrà, vedrà

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