Da quando mi sono buttata a capofitto sui Porn Studies la mia visione della sessualità, e in generale del mondo, è cambiata sensibilmente, ampliandosi e arricchendosi. Ho iniziato a considerare da altre prospettive quello che mi piace, quello che faccio, a metterlo in discussione.
Il primo velo che ho squarciato è stato quello concettuale, con le sue limitazioni, che partono proprio da che cos’è un rapporto sessuale. Per convenzione, consideriamo un “rapporto sessuale” quello che prevede una penetrazione – vaginale o anale – mentre la fellatio e la penetrazione di dita o toy nella vagina o nell’ano non sono comunemente considerati tali, ma piuttosto una fase preparatoria o alternativa al sesso. Anche la masturbazione in genere non è intesa come un rapporto sessuale con sé stessi ma una “pratica erotica tendente alla provocazione dell’orgasmo e del piacere sessuale al di fuori dell’accoppiamento”.
Da questo punto di vista il rapporto sessuale in quanto tale può avvenire solo in compagnia, come se potessimo relazionarci solo con l’altro ma non con noi stessi. Accoppiamento significa infatti l’unione di due e quei due sono un maschio e una femmina che si uniscono “nell’estasi suprema che è propria dell’idillio dell’amore” (per citare Elio e le Storie Tese) idealmente per procreare. Ecco, io mi rifiuto di pensare ancora che tutto quello che facciamo prima e dopo la penetrazione sia un aperitivo o un digestivo – per me un pene che si ficca da qualche parte non è la portata principale del menù. Senza contare che quest’idea di rapporti sessuali che si svolgono sui principi delle unità pseudoaristoteliche – petting, masturbazione, penetrazione, orgasmo – mi sembra un po’ limitante e meccanica.
Con la narrazione del porno di massa, questa struttura sembra essersi consolidata definitivamente – coronata da quello che nel gergo cinematografico viene chiamato “money shot” ossia l’eiaculazione sul corpo della o del partner. Questa è una visione eteronormata, fallocentrica nonché abilista, che non contempla nient’altro che l’interazione di due persone con una certa mobilità fisica, di cui quella col pene, a un certo punto, entra nella vagina dell’altra fino a eiaculare.
Stando così le cose, due persone con la vagina che fanno sesso non stanno avendo un rapporto sessuale, perché nessuna delle due ha un pene (si sa, “sforbiciano”) – e se decidono di usare un un oggetto che ha forma e dimensioni falliche, al massimo si stanno masturbando a vicenda. Come qualunque lesbica credo possa confermare, è una cazzata. Non è necessario che ci sia un pene di mezzo perché si possa parlare di rapporto sessuale, né che il pene in questione entri in qualche buco.
Considerare il sesso solo come un pene (o un giocattolo a forma di) che entra dentro una vagina o un ano è riduttivo e persino noioso. Sia chiaro, il sesso penetrativo mi piace da morire, ma non lo vedo come l’unico possibile. Un cunnilingus non è preliminare a nulla se non al piacere che ne potrei trarre. In una situazione ideale, prima del sesso c’è il desiderio, dopo c’è la soddisfazione. Concentrandoci solo sui genitali, rischiamo di perdere di vista tutto il resto del corpo – nostro e dell’altro. Se non ci concediamo il tempo e il piacere di esplorare diffusamente, non sapremo mai cosa ci stiamo perdendo.
Inoltre questo racconto così codificato non fa che stimolare pregiudizi e quel tipo di sarcasmo sterile di genere che tende a ridicolizzare le persone per come fanno sesso – mi riferisco alle battute di cattivo gusto sui cazzi piccoli, o quelle sulle donne che possono venire per minuti senza soluzione di continuità mentre gli uomini appena eiaculano non servono più a niente perché tanto si addormentano, o al mettere in ridicolo le persone che si prendono il tempo per baci, carezze, morsi, leccate lungo tutto il corpo mentre uno dei due si domanda perché non si passi ai fatti ossia alla famosa penetrazione.
Sembra che il nostro intento, anziché quello di godere e stare bene, sia quello di “finire” con il raggiungimento dell’orgasmo, e penso che proprio affrontando il sesso con questo intento ci precludiamo un godimento più pieno del rapporto. Buona parte delle energie e delle attenzioni vengono destinate a fare sesso “come si deve” ma, appunto, come si deve? Non ci sono manuali, non ci sono mappe da seguire. Dovremmo smetterla di attenerci a canoni prestabiliti e a delle definizioni parziali che parcellizzano la visione d’insieme di una delle attività più belle al mondo.
Invece dovremmo pensare al rapporto sessuale come a un momento anarchico in cui i desideri si ribellano alla norma, se ne fregano delle procedure standard e durante il quale, sempre con il consenso e la negoziazione, si può essere estrosi, curiosi e ci si può mettere a improvvisare – senza seguire un copione o il galateo della scopata perfetta. Quello che fanno le nostre mani e le nostre bocche non è un principio di conoscenza reciproca, ma un sesso sublime che non ha bisogno di essere sancito dai nostri genitali.