Quando ancora non esisteva l’incubo delle versioni di greco e latino e gli esercizi di matematica consistevano solo in qualche paginetta all’interno di un sussidiario, per qualche mio compagno di classe niente poteva essere peggio di vedersi assegnato quell’infausto compito. Sto parlando dell’unico, intramontabile, dovere di ogni alunno di ogni tempo durante le vacanze estive: la lettura di un libro a scelta.
Mi sembra di averle ancora davanti, le facce di alcuni miei compagni dell’epoca, mentre si storcevano in una smorfia di disgusto misto a incomprensione di fronte a ciò che a loro sembrava un elenco di torture più che una lista di titoli e autori. Perché a loro non importava che fossero romanzi di cui avevano già letto qualche capitolo durante la lezione di italiano; o che raccontassero storie che promettevano di essere avvincenti, con cavalieri, spade e robe così. No, quelli erano solo schifosissimi libri. Il che, nelle loro testoline di alunni, si traduceva nel vedersi rovinati alcuni preziosi momenti delle giornate al mare con mamma, papà o chi di turno; a costringerli alla lettura di un pezzettino («Dai, due pagine, su!»), mentre magari gli amici già si stavano sollazzando coi tuffi a bombazza. E tutto questo, per cosa? Per leggere di un bambino che litiga coi genitori, così decide di vivere tutta la vita tra gli alberi? O delle indagini su un mastino bavoso, tra leggende di famiglia e uccisioni per questioni di eredità? No, grazie. Se avessero potuto scegliere, avrebbero preferito spaccarsi la testa sugli scogli in uno di quei tuffi.
La questione era solo una, già allora: alla maggior parte dei ragazzini non piaceva leggere. Anzi, non solo non gli piaceva, gli pesava proprio. Lo vedevano come uno strazio, per di più inutile, perché non capivano che sfogliare uno di quei romanzi che noi chiamiamo “classici” era non solo una questione di cultura, ma anche un esercizio di tiro a segno alla comprensione del testo scritto. Dove già vent’anni fa le frecce, oltre a non centrare il punto, finivano proprio ben oltre il tabellone. D’altronde, come poteva quel foglio A4, con la lista di libri buttata giù dalla prof disamorata di turno, invogliare un branco di ragazzini a leggere? Sì, perché la responsabilità era in qualche modo anche dei docenti, che, a colpi di Madame Bovary, I malavoglia, Le anime morte e via dicendo, di certo non si impegnavano neanche un po’ nel cercare di rendere le cose più allettanti. Oltretutto, dimostrando che le loro scelte erano dettate da una sorta di automatismo più che dalla consapevolezza di essere di fronte a degli adolescenti, che forse si sarebbero appassionati di più con titoli come Racconti dell’età del jazz, Il giovane Holden, Sulla strada o Cime tempestose. Ossia, con quelle letture che – pur restando all’interno del cerchio magico dei classici – hanno un tasso maggiore di digeribilità e di godibilità per dei sedicenni. Sedicenni che magari avrebbero comunque letto le sventure della famiglia Toscano sul Bignami, ma che non si sarebbero fermati lì e (sempre magari) avrebbero riscoperto in età adulta quella stessa Emma Bovary causa di sbadigli e sbuffi liceali.
Ora il panorama e le generazioni sono ulteriormente cambiati. I giovani non sono più i Millennial, bensì la cosiddetta Generazione Z che non gioca a Snake sul Nokia 3310 ma fa fotografie con l’iPhone, che non tiene in mano il foglio A4 con la lista dei libri, bensì infiniti profili di book influencer sui social. Tutte cose che, a sorpresa ma non troppo, mettono la Gen Z al centro di un paradosso senza precedenti. Ossia: quello di essere fautori del boom di visualizzazioni di un hashtag di lettura su TikTok, ma contemporaneamente di essere gli stessi a non capire cosa sta dietro ciò che leggono. Dal PISA (Programme for International Student Assessment), indagine internazionale promossa dall’OCSE oggi alla sua settima edizione (PISA 2018), è infatti emerso che i ragazzi italiani sono sotto la soglia media degli altri Paesi quanto a lettura e comprensione di un testo, con un punteggio di 476 contro il 487 della media. I dati sono piuttosto inequivocabili: complici la chiusura delle scuole per i vari lockdown e lo stato di povertà di molte famiglie soprattutto al Sud e nelle isole, il 51% dei quindicenni italiani non è in grado di comprendere un testo scritto.
In un tale clima di desertificazione intellettuale e culturale, il #BookTok diventa il fenomeno del momento con più di 53 miliardi di visualizzazioni su TikTok, di cui solo in Italia (#BookTokItalia) circa 605 milioni. Alla luce di un simile successo, viene spontaneo domandarsi come sia possibile che gli adolescenti non riescano a capire un testo scritto, nonostante sui social si professino avidi lettori. Talmente avidi che i fiorellini, i piattini, le tazzine e il mood shabby chic delle foto delle book influencer di Instagram sembrano proprio roba da dilettanti (nonché superata). Basta farsi un giro nel fantastico mondo dell’hashtag #BookTok per trovare tanti giovanissimi booktokers che consigliano romanzi, condividono diari di lettura, danno fondo alle scorte planetarie di post-it colorati per appiccicarli tra le pagine dove ci sono frasi assolutamente degne di nota. Oppure, al massimo del pathos (e del trend), si asciugano le lacrime per un epilogo particolarmente emozionante, lanciando il messaggio che niente è bello quanto immortalarsi piangenti per un libro. Il tutto con una tale passione ed efficienza nel portarsi a casa più titoli possibili che io stessa, ripensando alla me adolescente (e lettrice) di allora, mi sono ricreduta sui risultati dei miei tiri a segno di quei famosi vent’anni fa.
Confesso di essermi chiesta se, nell’era del voler apparire a tutti i costi, atteggiarsi da grandi lettori non sia tutto un bluff. Perché se la metà di quella Generazione Z di oggi non capisce ciò che legge, ma è anche attiva più che mai sui social – e in qualità di generazione di lettori! –, le opzioni sono due. O siamo di fronte a una trollata, oppure è in corso un cortocircuito. Ovvero: che i ragazzini non sanno più leggere a causa dei social ma, al tempo stesso, usano i social per insegnare agli altri a leggere. Aiuto, chiamate un elettricista. Considerato il livello delle letture del BookTok, in linea di massima non credo si tratti di un bluff. Perlomeno, non come quello di Instagram, e dei (e delle) influencer buoni a fotografare il classicone di turno, magari senza l’onere e l’onore di averlo letto. Questo perché su BookTok, a differenza di Instagram, vanno forte tomi che non sono certo I fratelli Karamazov o Il conte di Montecristo, e che, proprio per la loro maggiore leggerezza, è (quasi) ovvio che vengano letti sul serio.
Partendo da La canzone di Achille di Madeline Miller, che è ormai come il prezzemolo, e dai lanciatissimi Fabbricante di lacrime e Nel modo in cui cade la neve di quella Erin Doom che, con BookTok, dalle affollate lande degli esordienti è salita sul podio degli scrittori di maggior successo. Per non parlare di It Ends with Us di Colleen Hoover, che nella versione italiana mantiene il titolo inglese, ma col sottotitolo Siamo noi a dire basta (e questo perché il passaparola lo ha reso noto, anche in Italia, in lingua originale); o del fantasy La casa sul mare celeste di T.J. Klune. Tutti esempi di libri piacevoli, per carità, ma che non hanno quella complessità di forma e contenuto di quei grandi romanzi che corroborano il lettore, anche se talvolta con incisi infiniti e concetti alienanti. Perché si fa presto a dire di saper suonare November Rain al pianoforte: se non mastichi un minimo di Bach, non potrai mai farlo come si deve. In altri termini: che ti vanti a fare di aver letto le quasi mille pagine di Una vita come tante di Hanya Yanagihara, quando non sai neanche dove stia di casa Nabokov, Malaparte e, men che meno, Dostoevskij? Se non sei passato di lì (e anche per un bel pezzo di strada), c’è qualcosa che ti sfugge di sicuro in quella Yanagihara che, col suo Jude, ti ha fatto piangere tanto.
Ecco allora dove sta l’inghippo: in quella logica del mal comune, mezzo gaudio. Per cui sembra tanto un successo il fatto che, dai, almeno questi ragazzini leggono qualcosa. E va’ che bella figura fa lì nella libreria, quello Shantaram di Roberts alto così. Altro che Bradbury, Huxley, Orwell o Joyce. Per un periodo della mia vita, ho pensato sarebbe stato bello fare l’insegnante e scrivere la lista delle letture estive, anche se faceva storcere il naso. Ma sai che roba sarebbe stata, adesso, mettere da parte Il barone rampante e invitarli a farsi un giro su BookTok?