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Carlo Pedersoli Jr.: «Le MMA sono dedizione e sacrificio, non violenza e criminalità»

Dopo il delitto di Colleferro, l'opinione pubblica italiana si è scagliata contro le MMA, arti marziali miste, associandole alla violenza fascistoide. Per Carlo Pedersoli Jr., uno dei migliori fighter italiani, non è affatto così

Carlo Pedersoli Jr. Foto via Facebook

A partire dalla fine degli anni Novanta in poi la popolarità delle Arti Marziali Miste (MMA) in Italia è cresciuta con una progressione sempre più rapida. Anche se le proporzioni di questo fenomeno sono ancora relativamente distanti dalla realtà internazionale (le MMA rappresentano il terzo sport più seguito del pianeta, dopo calcio e basket), il bacino di appassionati cresce continuamente.

Nelle ultime settimane, però, il carrozzone mediatico italiano è riuscito a trasformare l’immagine di questo sport in un ricettacolo di violenza, tendenze fascistoidi, e allarme sociale. Partendo dal semplice fatto che i fratelli Marco e Gabriele Bianchi, accusati di aver preso parte al pestaggio che ha provocato la morte di Willy Monteiro Duarte a Colleferro, praticano MMA a livello dilettantesco; e da un tweet-appello del direttore de La Stampa, Massimo Giannini, che auspicava la messa al bando di “certe discipline marziali”.

Questo tipo di decontestualizzazione, e di approssimazione brutale, ha scatenato un dibattito acceso sulle MMA, e molti commentatori sui social si sono scagliati contro uno sport di cui non sapevano assolutamente niente. Lasciando perdere queste polemiche inutili, si dovrebbe invece mettere in risalto il fatto che mai come in questi ultimi anni il livello professionistico dei nostri atleti MMA sta dando frutti a livello internazionale. Con molti di loro impegnati nei circuiti e negli eventi più importanti.

Fra questi uno dei più promettenti è Carlo Pedersoli Jr, nipote del celebre attore Bud Spencer, che negli ultimi 9 anni ha bruciato le tappe fra il circuito dei dilettanti e quello dei professionisti: prima nella federazione italiana, e successivamente in quelle statunitensi (prima UFC, e adesso Bellator, nella divisione dei pesi welter). L’ho contattato per parlare insieme della sua carriera, dei veri valori delle Arti Marziali Miste, e delle sue prospettive per il futuro.

Quando e come ti sei avvicinato alle arti marziali e alle MMA?
Grazie a mio zio, all’età di 13 anni. Un giorno lo vidi allenarsi, e rimasi profondamente colpito. Si offrì di darmi una prima infarinatura, e tutto cominciò da lì. Successivamente ebbi modo di guardare un’edizione del Pride, un evento che svolgeva in Giappone in cui vari atleti provenienti da discipline diverse si sfidavano per scoprire quale fosse più efficace: sumo contro kickboxing, oppure ju jitsu contro pugilato. Fu una vera e propria scintilla, che mi spinse a cominciare a praticare seriamente diverse discipline.

Ho sperimentato varie arti marziali per anni (e anche altri sport, visto che per molto tempo ho praticato football americano), fino a che, a 18 anni, ho deciso di dedicarmi totalmente alle MMA.

Quali sono le caratteristiche che ti hanno fatto preferire questa disciplina rispetto ad altre arti marziali?
È uno sport che ti spinge sempre a superare te stesso, a migliorare. Un’arte marziale completa, che ti prepara a 360 gradi: tutte le altre generalmente si concentrano su determinate tipologie di tecniche, mentre nella nostra disciplina si impara a controllarle tutte. E proprio grazie a questo, è possibile sviluppare un proprio stile autonomo.

Negli ultimi anni le MMA sono diventate sempre più popolari, secondo te perché?
Per vari motivi: uno è sicuramente il fatto che le arti marziali col kimono girano molto attorno al circuito olimpico. Quindi accademie, federazioni, selezioni nazionali, ecc ecc. Mentre altri sport, come le MMA, si prestano ad una maggiore flessibilità: ognuno può creare la propria dimensione. Puoi fare le gare, un evento, gestirti come vuoi.

Le MMA poi sono viste da molti come un completamento del bagaglio marziale: in tanti approdano a questo sport passando da altre discipline, proprio perché ti porta ad un altro livello di preparazione.

Come è stato il tuo percorso di transizione da dilettante a professionista?
Quando ho scelto di approfondire questo sport, ho iniziato a girare parecchie palestre di Roma, fino a che non ho trovato quella giusta per me. Quindi, pian piano, ho iniziato con i primi combattimenti fra amatori, con limitazioni di regolamento. Poi ho combattuto nel campionato italiano con le protezioni, e successivamente sono arrivato in Nazionale: qualificandomi per il Mondiale. A quel punto ho deciso di fare il salto nel mondo professionistico: ma nella mia prima gara ufficiale mi ruppi il crociato. Saltai il Mondiale, ma decisi di dedicarmi ancora maggiormente a questo sport. Match dopo match, allenamento dopo allenamento, sono arrivato fino ad oggi, passando tutta la trafila fino alla UFC e oggi al Bellator.

Cosa pensi del modo in cui è stata descritta l’MMA in questi giorni?
Sinceramente sono rimasto sbalordito dall’ignoranza con cui alcuni giornalisti, e conduttori televisivi, si sono approcciati all’argomento. Screditando un intero sport in maniera vergognosa. Fortunatamente ce ne sono stati altri, invece, che hanno dimostrato competenza nel descrivere l’MMA: riportando la realtà in maniera non solo oggettiva, ma anche approfondita per uno sport che ancora oggi in molti in Italia non conoscono.

Accostare un’arte marziale ad un terribile caso di cronaca che senso può avere? Le MMA rappresentano una disciplina che, come ogni arte marziale, insegna il rispetto per l’avversario, la consapevolezza e il controllo di se stessi, e la dedizione al lavoro e al sacrificio. Niente a che vedere con ambienti violenti o criminali: basta frequentare le palestre, e andare a vedere qualche combattimento, per capire il rispetto che gli atleti hanno l’uno per l’altro. È molto raro che due fighter non si diano un abbraccio una volta finito il match.

Quali sono i tuoi punti di forza come fighter? E in cosa invece vorresti miglioreresti?
Principalmente il mio punto di forza è di saper mescolare bene le tecniche che conosco. Ho creato il mio gioco, e i miei schemi motori. E questo mi permette di non essere prevedibile.

Un atleta di MMA, poi, deve per forza migliorare in tutti i campi: per questo è una disciplina che ti spinge sempre a migliorare. Non puoi concentrarti solo sui tuoi punti di forza, o sui punti deboli.

I tuoi obiettivi per il prossimo futuro?
Entrare a gamba tesa nel roasted Bellator, e farmi conoscere bene anche in questa federazione. Poi vorrei raggiungere sempre obiettivi più grandi, arrivando sempre più in alto possibile.

Quali sono gli atleti a cui ti ispiri?
Sicuramente Anderson Silva, per come si muove e per il suo stile. Poi Georges St-Pierre, e Israel Adesanya.

Se dovessi dare dei consigli ai ragazzi che vogliono avvicinarsi a questa disciplina, cosa gli diresti?
Che il livello di dedizione, per riuscire a padroneggiare davvero la disciplina, deve essere molto importante. Richiede non solo talento e bravura, ma anche la capacità di adattare le proprie caratteristiche, e le tecniche che si padroneggiano meglio, ad una serie di altre impostazioni. È uno sport in cui non ci sono “tecniche efficaci”, ma “atleti efficaci”. Devi essere i grado di trovare questo equilibrio.

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