La prima volta che, su Instagram, mi sono imbattuta nel progetto Accidentally Wes Anderson, consigliatomi da un amico che conosce la mia passione per la fotografia d’architettura, ho pensato: «Oh, bello!», e mi sono persa in uno stream di immagini tutte diverse, scattate in giro per il mondo, eppure sempre coerenti nella loro cifra estetica; ma, soprattutto, in quell’atmosfera quasi sospesa, e indubbiamente ispirata al celebre regista americano da cui il profilo mutua il nome e un’attenzione particolare per la simmetria.
È proprio quella la reazione che Wally Koval, fondatore del progetto insieme alla sua compagna – oggi moglie – Amanda, speravano e sperano ancora di suscitare nel pubblico: nessun entusiasmo eccessivo da bocca aperta, ma una moderata reazione di stupore e soprattutto positività. Come racconta Koval via Skype, «siamo una combinazione di estetica visiva, storie interessanti, capacità di fare community e positività, con un pizzico di divertimento, senza prendersi mai troppo sul serio». A questa patina di leggerezza, data dai colori pastello sempre in palette e dalle immagini che ci fanno sognare di tornare al più presto a viaggiare, si aggiunge in ogni post Instagram – uno al giorno, tutti i giorni – una storia che prima soddisfa una curiosità che non sapevamo d’avere, e poi suscita la voglia di approfondire.
Casette immerse nel nulla o nella giungla urbana, veicoli rétro su panorami mozzafiato, palazzi dalle architetture impossibili. È nata come una bucket list, una lista di posti da scoprire in un prossimo viaggio a uso dei suoi ideatori, e in circa tre anni è diventata un atlante in perenne aggiornamento, in cui alla curatela del piccolo team di due persone (e un cane) si è unita in modo indispensabile la partecipazione continua della loro Community, con la “c” maiuscola, che invia quotidianamente immagini e storie da tutto il mondo via mail o via Instagram, con ormai qualche migliaio di proposte ogni mese, vagliate una per una.
Dal primo post su Instagram del 2017, Accidentally Wes Anderson è diventato anche un libro, pubblicato a fine 2020 con una prefazione del regista a cui si ispira; e un sito, in cui esplorare i posti più affascinanti del mondo per categorie, attraverso una mappa e le storie più interessanti, oltre che una newsletter in cui ogni volta viene nascosto un link segreto in stile caccia al tesoro. Wally Koval ci ha raccontato il progetto che, in poco più di tre anni, grazie alla sua formula e soprattutto alla costanza, dal suo appartamento di Brooklyn ha raccolto oltre un milione di follower.
Il primo post è stato pubblicato nel 2017. Avresti mai immaginato questo successo, in quanto esperto di branding e di marketing?
Mai. Il mio proposito era scoprire ogni giorno un posto e delle curiosità che stimolassero la mia immaginazione, e condividerlo con il resto del mondo. È cominciato tutto come un progetto collaterale: io e Amanda, all’epoca la mia ragazza e oggi mia moglie, prima di organizzare i nostri viaggi stilavamo un elenco di posti in cui andare, sarebbe stata una lista da cui attingere.
Facevate ricerca solo su Instagram?
Molti di questi luoghi li abbiamo trovati su Reddit e soprattutto su Instagram, dove gli hashtag possono portarti ovunque. Cercando keywords come #emptystadium si viene catapultati in un attimo in Brasile, subito dopo in Inghilterra, in luoghi lontanissimi ma che hanno qualcosa in comune.
Quando siete diventati consapevoli del potenziale del progetto?
All’inizio non avevamo aspettative. Le persone hanno iniziato a condividere spontaneamente i loro pensieri e le loro storie nei commenti sotto alle immagini o inviando dei messaggi. Forse ce ne siamo resi conto nel momento in cui Vogue ci ha contattato per un’intervista. Sapevamo che ci avrebbe dato un po’ di visibilità, ma in una notte siamo passati da duemila follower a 20mila, poi 50mila… Ogni volta che facevo un refresh della pagina mentre ero al lavoro erano aumentati già di altri mille, una cosa incredibile. A quel punto, ancora più persone hanno iniziato a contattarci e a dimostrarci il loro entusiasmo: noi abbiamo semplicemente continuato a fare quello che già stavamo facendo, ascoltando community e pubblico, conversando e confrontandoci con loro. Non c’è mai stato un momento di rivelazione, almeno finché non abbiamo avuto il libro stampato tra le mani: quella forse è stata la prima volta, dopo tre anni, in cui ho tirato un sospiro di sollievo.
Com’è cambiato il vostro approccio in questi tre anni di percorso alle vostre priorità e al piano editoriale?
Tuttora navighiamo a vista. Abbiamo sempre rispettato gli standard molto alti che ci siamo dati, e siamo sempre stati coerenti, cercando di fare qualcosa di diverso dagli altri. La costanza ci ha premiato: un post al giorno, ogni giorno, sempre negli stessi orari, con una bella immagine e una didascalia interessante, che fossimo dal dentista, a un funerale, a un matrimonio… Persino il giorno del nostro matrimonio. Avremmo potuto costruire un team di venti persone, ma continuiamo a essere noi due, parte di una community: leggiamo ogni singola email e submission che riceviamo, migliaia ogni mese, per un senso di rispetto. Se c’è chi ha scattato una foto giudicandola interessante, ha raccolto la storia di quel posto, ce l’ha inviata e ha impiegato del tempo per farlo, allora io impiegherò del tempo per guardare che cosa mi ha mandato, questo è il rispetto di cui parlo. Mi piace pensare che in questo viaggio ci siamo evoluti insieme e grazie alla nostra community e all’ascolto: prima le immagini erano accompagnate dalle informazioni fondamentali, come la localizzazione, poi grazie a chi ci seguiva abbiamo iniziato a domandarci se ci fossero dietro a quei luoghi storie interessanti e degne di essere condivise, e ne abbiamo trovate di incredibili. Se non avessimo prestato attenzione a quel commento, se non lo avessimo ascoltato e approfondito, forse non ci saremmo arrivati.
Vi siete mai sentiti sopraffatti dalla quantità di commenti e di consigli ricevuti?
Tutti i giorni, ma nel modo migliore. La mole di lavoro è spesso gigantesca, e pensare, ogni giorno, di condividere un contenuto con un pubblico di oltre un milione di persone può essere fonte di ansia. Ma cerchiamo di vederla diversamente, pensando alla nostra community come a un gruppo di amici seduti nel nostro salotto.
Quanto tempo vi impegna al giorno? Riuscite ormai a vivere di questo?
All’inizio del 2020, entrambi eravamo dipendenti assunti full time. Il lavoro da fare era moltissimo, e se non ci fossimo dedicati completamente sarebbe stato impossibile concluderlo e farlo nel modo migliore. Amanda a marzo ha perso il lavoro, e ci siamo entrambi ritrovati chiusi in casa per la pandemia con un unico obiettivo: finire il libro. Gli abbiamo dedicato tutto il tempo che avevamo e le risorse a disposizione per farlo uscire entro la fine del 2020.
Quindi il 2020, per guardare un anno difficile dal lato positivo, ha in qualche modo reso possibile il libro.
È un momento difficile, terribile, a cui nessuno era preparato. Il libro è frutto di quasi due anni e mezzo di lavoro, non immaginavamo di pubblicarlo in un momento del genere, ma fortunatamente è stato un modo per distrarsi, per far guardare altrove i lettori, per portare loro un sorriso, un po’ di positività.
Positività mi sembra una delle parole chiave del progetto.
Ci sono molti livelli in Accidentally Wes Anderson: a quello più superficiale ci sono delle belle immagini; andando un po’ più a fondo si trovano delle storie interessanti; andando ancora oltre c’è una generale positività. Il mondo è un posto molto duro, e spesso anche la storia legata a luoghi ed edifici costruiti nel passato è crudele, segnata da guerre e altre disgrazie. Io nella mia vita quotidiana cerco sempre di vedere i lati positivi, e di portare lo stesso nel progetto e a chi lo segue. Vorrei che le persone che guardano il nostro libro, il profilo Instagram e il nostro sito potessero dire semplicemente: «Ah, che bello!». Nessuna reazione esagerata, nulla più che un pizzico di leggerezza.
Avete altri progetti in mente? AWA pensate che sia replicabile?
Non credo funzionerebbe con altri registi. Nella filmografia di Wes Anderson non ci sono molti blockbuster, ma una fotografia particolare, dialoghi interessanti, un mondo fantastico… C’è qualcosa che riconosci, quando lo vedi. La maggior parte di questi posti ed edifici è stata vista e vissuta da migliaia di persone, che hanno camminato al loro interno o in prossimità. Sono stati costruiti in un’epoca e in un momento preciso, per una funzione specifica, che potrebbe essere, ci cito, “accidentalmente” cambiata nel corso del tempo; ma su quel posto, attraverso la storia della sua costruzione, di un negozio che ha aperto lì, di una famiglia che ci ha vissuto, potresti raccontare un numero infinito di storie. Finché arrivi a una piccola storia precisa che ritorna da quel film che hai visto e vai oltre, ci entri, fai un po’ di ricerca… Il nome di Wes Anderson, da solo, spiega già perfettamente un’estetica, ma credo che AWA sia andato un passo oltre, presentando non solo immagini con quello stile, ma storie reali che calzano a pennello. In questi tre anni abbiamo esplorato il cerchio centrale di un mirino, pian piano ci stiamo sempre più allargando, e porteremo sempre un pizzico di Wes Anderson, ma potremmo anche evolvere proponendo qualcosa di un po’ diverso. Non per forza un nuovo progetto. Vedere dove ci porta questo viaggio è già metà del divertimento.
Un’ultima domanda sul regista dal cui nome è nato tutto. È stato lusingato dal progetto e dal libro?
Quando gli abbiamo inviato il libro prima della pubblicazione non sapevamo cosa aspettarci, temevamo ci avrebbe chiesto di bloccare tutto. Io sapevo bene in cosa consisteva il progetto, cosa rappresentava e cosa sarebbe diventato, ci avevamo dedicato due anni e mezzo di lavoro, mentre lui non aveva idea di chi fossi io, avrebbe potuto pensare che volessi usare il suo nome a sproposito. Invece è stato molto amichevole e aperto all’idea, dandoci grande fiducia. La ciliegina sulla torta è stata quando gli abbiamo inviato la copia in PDF per l’approvazione definitiva e lui ci ha proposto di scrivere l’introduzione. Per noi e per la nostra community è stato il riconoscimento più grande in assoluto. Quando abbiamo ricevuto la sua risposta via mail, io e Amanda abbiamo inizialmente pensato fosse uno scherzo, non avevo mai comunicato con lui direttamente prima, ma tramite il suo agente. L’abbiamo riletta almeno quindici volte. La prefazione che ci aveva inviato era perfetta, totalmente nel suo stile. E, dopo quel percorso, per noi è stato come vincere una medaglia d’oro olimpica.