La t-shirt rosa di Harry Styles
Al “Ciao, Achille” di Harry Styles, le fan su Twitter si sono scatenate: sarà mica Achille Lauro (altro protégé di casa)? Invece era il critico d’arte Achille Bonito Oliva, protagonista di uno dei dialoghi più surreali (e geniali) visti su un qualsivoglia schermo di recente. Il celebre accademica spiega il senso dell’arte e della bellezza all’ex One Direction, che guarda nella macchina da presa un po’ stranito, con indosso una t-shirt rosa subito must have, dalla sua casa di Los Angeles (o così pare, anche se non viene mai dichiarato). Ah, tutto ciò in doppia lingua: Achille parla in italiano, Harry in inglese. Ma si capiscono perfettamente. Un po’ come accadeva in Un film parlato di Manoel de Oliveira, capolavoro dimenticato del 2003 in cui l’americano John Malkovich, la francese Catherine Deneuve, l’italiana Stefania Sandrelli e la greca Irene Papas cenavano insieme su una nave da crociera usando ciascuno la propria lingua madre. Voliamo troppo alto? Affatto. O, quantomeno, GucciFest ha permesso anche questi cine-cortocircuiti, come ogni festival cinéphile che si rispetti.
La sintesi di Gus
In questa intervista, Gus Van Sant ha dichiarato di aver lavorato per il progetto by Gucci come aveva fatto sul set di alcuni suoi film passati: soprattutto Elephant (Palma d’oro a Cannes 2003) e Last Days, girati in tempo record. Il risultato è esattamente quello: non un lungo spot come qualcuno avrebbe potuto pensare, ma quasi una summa della sua poetica visiva. Tra luci spesso violentissime, macchina a mano instancabile, ricerca dei dettagli studiatissima, anche se tutto sembra capitare per caso sotto i nostri occhi. A volte il gioco di mescolare anche i registri estetici è evidente: vedi lo scambio tra Harry Styles e Achille Bonito Oliva di cui dicevamo sopra, con la ripresa “sporca” del primo e quella più “posata” del secondo, che però insieme non stonano, anzi sembrano compensarsi. Altre volte c’è invece la libertà del documentario (l’episodio The Theatre), altre ancora la pura compostezza formale (At Home). Quasi una filmografia intera concentrata in sette mini-film. Chapeau.
Il volto (e il corpo) di Silvia Calderoni
Visualizza questo post su Instagram
Il volto di Silvia Calderoni, protagonista e trait d’union di tutta questa OUVERTURE, non si dimentica più. E anche il suo corpo, che da sempre usa come strumento principale della sua espressione artistica. Nata a Lugo di Romagna 39 anni fa, performer, attrice, ballerina, autrice, è un volto anche del cinema (Amori che non sanno stare al mondo di Francesca Comencini, Riccardo va all’inferno di Roberta Torre) e della nuova serialità italiani (è la “capoclan” della tribù devota alla dea Rumia in Romulus, ora in onda su Sky). La sua versatilità la rende la figura perfetta su cui incardinare questo progetto ibrido e innovativo. «È un’artista eccezionale, non sarebbe stato possibile realizzare la serie senza di lei», dice il direttore creativo di Gucci Alessandro Michele. «Quando Gus l’ha conosciuta, ha subito visto in lei doti uniche di interprete e performer. Silvia ha portato in scena molte delle sue stesse idiosincrasie personali. Noi l’abbiamo seguita, osservata e ripresa esattamente nella sua essenza». L’episodio più emblematico, in questo senso, è At the Café, con echi di Nouvelle Vague tra le strade di Roma.
La collezione “strappata”
E poi, anzi davanti a tutto, c’è la collezione. Una collezione di moda dentro una serie (o viceversa) non si era vista mai. E tanto basta. Ma in più Alessandro Michele trova grazie a OUVERTURE un equilibrio creativo perfetto, che potrebbe fare da precedente alle “sfilate” virtuali future. Gli abiti diventano protagonisti dell’immagine quasi sparendo in essa, dialogando con i volti degli attori (e delle tantissime guest star) e con gli ambienti, con le luci e le città. Si può dire che siano davvero “vissuti”, come durante i défilé invece non sempre accade. L’idea rétro alla base della collezione Gucci si contamina con un’idea di linguaggio che più contemporanea non si potrebbe. «Questo tempo di strappi», definisce Alessandro Michele il momento che stiamo vivendo. Anche questa sembra una collezione “strappata”: alle modalità classiche con cui la moda era (rap)presentata, per proporre un concetto (e un ideale di bellezza) davvero nuovo.