Il 17 gennaio, Virgil Abloh ha sfilato con la sua seconda collezione maschile per Louis Vuitton, ispirata alla figura di Michael Jackson. Il 25 gennaio al Sundance è stato proiettato il documentario Leaving Neverland, che, ormai, dovreste sapere di cosa parla.
In otto giorni, un’idea geniale di un tributo a una superstar si è trasformata in un problema non da poco per il colosso della moda. Ma forse potrebbe tramutarsi in un – cinico – colpo di fortuna.
Bisogna dire che la collezione disegnata da Virgil Abloh mantiene una certa distanza da Michael Jackson. Non è una partnership ufficiale, non ci sono accordi di licenza di nessun tipo e non include immagini dirette del cantante. Anche il comunicato stampa della maison parla di un’ispirazione “principale”, ma che ha comunque mantenuto alcuni dei suoi temi ricorrenti.
In un’intervista per Business of Fashion, Anne Hunter, executive vice president di strategia e crescita per Kantar Consulting, specializzata in analisi del settore moda, ha detto che “potrebbe esserci meno voglia per gli acquirenti di voler indossare indumenti che riconascano il valore del cantante. Una fantastica camicia bianca ispirata a Jackson è desiderabile come articolo di moda puro, e potrebbe andare comunque bene. Una maglietta con l’immagine di Michael Jackson no”.
Nel primo comunicato ufficiale, rilasciato il esclusiva al WWD, Virgil Abloh dichiara di “condannare fermamente ogni forma di abuso su bambini, violenza o violazione dei diritti umani”. “Troviamo le accuse nel documentario profondamente preoccupanti e inquietanti “, ha aggiunto Michael Burke, presidente e chief executive officer di Vuitton. “La sicurezza e il benessere dei bambini sono di massima importanza per Louis Vuitton. Siamo totalmente impegnati nel sostenere questa causa”.
Vuitton ha detto anche che non produrrà alcun oggetto “che contenga direttamente elementi di Michael Jackson” e che la collezione che arriverà nei negozi rispecchierà puramente “i valori del marchio e del nostro direttore artistico”.
Anche per i marchi di lusso, come nel caso – spesso esagerato – del blackface, è arrivato il momento di fare i conti in modo serio con la cultura. Il “purché se ne parli” è chiaro che non funziona più per nessuno.