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Non accettate domande dagli sconosciuti!

Perché, da adulti, dovremmo permettere a profili anonimi di inviarci messaggi? C'entra il sexting, ma pure un disperato bisogno d'attenzione

«There’s only two types of people in the world», cantava una saggia Britney Spears in Circus. Fosse uscito ora, il brano sarebbe dedicato a “quelli che fanno domande su Instagram” e a “quelli che rispondono alle domande su Instagram”. Qui però non parliamo dei classici quesiti che potete sottoporre alla vostra influencer prefe il giorno in cui si sveglia e decide che «potete chiederle qualsiasi cosa». Qui parliamo della nuova ondata di app come Tellonym o NGL, che permettono sì di fare domande e mandare messaggi, ma in maniera del tutto anonima.

Non una novità: Tellonym è nata nel 2016 da un trio di studenti adolescenti in Germania (mai che pensassero a scopare), ed è figlia di altri esperimenti simili. In origine, cioè nel 2009, fu Formspring, successo enorme nei mesi successivi al rilascio, soprattutto negli Stati Uniti, che si portò dietro pure le prime problematiche legate all’anonimato, su tutte il cyberbullismo – pensate cosa può significare, al liceo, permettere a chiunque di inviarvi messaggi anonimi. La questione è venuta fuori quasi subito, con genitori in tilt e guide all’utilizzo “sano” di queste app spuntate come funghi su siti di scuole e psicologi. È bastato? Chiaramente no. La totale assenza di rintracciabilità ha permesso a chiunque di bullizzare ragazzini di tutto il mondo rimanendo impunito. Dopo le prime lamentele, Formspring ha modificato la caratteristica principale, l’anonimato appunto, col risultato che ha chiuso pochi mesi dopo, dando il via libera ai cloni Ask.Fm, Yik Yak, Curious Cat, Sarahah, eccetera.

Non che serva una app per scrivere cose orrende a chi non ci piace, ma è sicuramente più facile farlo se sai che nessuno ti scoprirà. E pensare che l’idea dichiarata alla base dello sviluppo di questi servizi di messaggistica era creare «conversazioni aperte e oneste», e che «con i crescenti tassi di ansia sociale, l’anonimato è un’ottima opzione per parlare con gli altri, iniziando una conversazione e riducendo lentamente le preoccupazioni come la paura di essere rifiutati, per poi finalmente rivelarsi e creare nuove amicizie e talvolta anche amori», come dichiarato da uno dei fondatori. Forse funziona così se si vive a Mirabilandia. Voglio dire, capiterà anche quello che dicono, ma non si può non menzionare che queste app aprono le porte di casa a qualsiasi disadattato che vuole scrivervi messaggi orrendi. Risalire al mittente è impossibile, lo conferma pure chi sa tutto di Internet, Salvatore Aranzulla. La domanda quindi è una: perché, se siamo nel pieno possesso delle nostre facoltà mentali, dovremmo volerci far scrivere messaggi da persone che nascondono la loro identità?

Le risposte sono molte. In primis, queste app sono utilizzate principalmente da teenager. Chattare in maniera anonima può essere misterioso, eccitante, divertente, soprattutto se avete 16 anni. Va inoltre considerato l’approccio che la Generazione Z ha nei confronti dei social: mentre per quelli non più tanto giovani essere online equivale ad avere una presenza pubblica, anche troppo, con foto, nome, cognome e in certi casi pure dove vanno a nuoto i figli, per molti di quelli venuti dopo esserci non vuol dire fare come i loro genitori, che postano pensieri, parole, opere e tatuaggi tribali su Facebook e nelle stories di WhatsApp. Anzi, proprio per essere invisibili ai genitori si è alimentato tutto un sottobosco che va a nutrire anche questa rete di relazioni anonime. Connessioni che sicuramente possono semplicemente essere passatempi per persone annoiate, ma che possono trasformarsi pure in esperienze non piacevolissime.

Un’altra questione è, però, che lo utilizzano pure gli adulti. Cosa spinge una persona adulta a buttarsi in pasto a una roba del genere? Alcuni rispondono: «Per ricevere critiche e osservazioni oneste sul mio lavoro». Una ricerca della Drexel University ha però rivelato quello che si poteva sapere anche senza fare uno studio: che, tra gli 870 adulti presi in esame (tra i 18 e gli 82 anni d’età), l’88% ha dichiarato di aver utilizzato queste app per fare sexting, e di questi il 75% di averlo fatto mentre si trovava all’interno di una relazione. Insomma, per mettere mettere un po’ di prurito alle parti basse senza correre troppi rischi, che male non fa.

Per tutti gli altri, entra in gioco il fedele compagno dell’epoca dei social: il bisogno d’attenzione. Bisogno spesso confuso con la solitudine, ma che è «più una di mancanza di legami intimi che di contatti sociali». Lo dicevano gli psicologi Roy Baumeister e Mark Leary nel 1995, quando i social manco li stavamo immaginando. Legami intimi che probabilmente non arriveranno grazie a messaggini anonimi. Ma volete mettere fantasticare che ci sia qualcuno, là fuori, che proprio non trova proprio il coraggio di dirci di persona che prova qualcosa per noi? È comunque meglio che rendersi conto che non ci si fila nessuno per vari motivi (dico per sentito dire!). E, a quel punto, diventa anche accettabile ricevere commenti negativi da parte di persone senza faccia o nome.

La reazione degli utenti alle critiche merita comunque un’analisi: in molti adottano il metodo Kim Jong-un. Sono pochissimi gli influencer, ma anche non, che condividono sui social i messaggi non proprio lusinghieri che hanno ricevuto. Spariti tutti. Solo una sequenza di complimenti ed elogi a cui rispondere con «Ho una community bellissima». Qualche temerario che però pubblica c’è, e magari si mette a fare la predica a chi offende, che è un po’ come utilizzare uno spruzzino per spegnere un incendio. Se c’è però una cosa che dovremmo aver capito, da grandi, è che ci sono cose che meritano la nostra attenzione e cose che invece proprio non dovrebbero. Un commento anonimo rientra nella seconda categoria. Primi capelli bianchi (parlo per voi che li avete, bianchi o non) e la faccia che inizia a cedere non sono sinonimo di maestria nell’evitamento delle rotture di palle. Rotture che possono essere anche grosse, visto che è un concetto studiato e ristudiato che, nell’epoca digital, le opinioni di pochi pesano sul nostro cervello come se fossero quelle di tutti i presenti al concerto di Max Pezzali a San Siro (giuro che era imballato).

In un articolo del New York Times, Mitch Prinstein, responsabile scientifico dell’American Psychological Association, ha affermato che «l’anonimato peggiora questa situazione», col risultato che, se qualcuno lascia un commento dicendo che siamo brutti e scemi, iniziamo a credere veramente che tutti pensino che siamo brutti e scemi. Un disastro. Come se ne esce? Fa sorridere che, tra i primi consigli che si leggono in tutte le guide per evitare o bloccare atti di bullismo, ci sia sempre il punto «parlane con un adulto». Sperando, a questo punto, che non utilizzi Tellonym pure lui. Che poi, se proprio gli adulti devono utilizzare queste app, sarebbe bello funzionassero da servizio pubblico. Pensate se, da adolescenti, avessimo avuto persone più grandi di noi a cui chiedere tutto in maniera anonima: «Come si rimorchia?», «Quali droghe proprio non devo prendere?», «Quell’acne sul culo passerà?». La versione 2.0 delle domande di Cioè che hanno rassicurato centinaia di ragazze che temevano maternità dopo rapporti orali. Un sogno. Una guida tascabile. Invece no, ragazzi e ragazze, mi spiace. Dovete subirvi la versione invecchiata di voi che si porta a casa complimenti da vari Mark Caltagironi, tipo «Non te l’ho mai detto, ma vorrei uscire con te» o «Penso che tu abbia un grande talento» (con loro pronti a rispondere: «Ma chi, io? Naaaah»).

Cosa dobbiamo aspettarci, quindi? Niente, come sempre. Che queste app siano utilizzate anche da gente che vota non dovrebbe stupire nessuna persona che frequenti un po’ Internet. Perché tutti, in fondo, ci sentiamo un po’ meritevoli di essere al centro dell’attenzione, di essere intervistati. Vanno bene anche gli anonimi. Perché facciamo una vita bellissima, perché facciamo il lavoro dei sogni o perché avremo sì 40, 50, 60 anni, ma mica siamo da buttare via. E poi, chi lo sa, forse è vero che siamo speciali. O forse così non è, l’unico speciale che conosciamo è quello di Mentana sulle elezioni, e forse più che mai, in questo periodo, faremmo pure bene a guardarlo. Adulti e non.

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