«Se devo scrivere di qualcosa, devo fare quella determinata cosa. Ho il bisogno fisico della realtà, non mi fermo davanti a nulla». Per questo motivo, per esempio, Valerio Millefoglie ha trascorso 24 ore al centro di medicina del sonno dell’Università di Pisa: «Dovevo scrivere il reportage “Nel mondo dei sonni”, l’obiettivo era descrivere una parte della nostra vita che ci è sconosciuta. Così mi sono sottoposto a una polisonnografia: mentre dormi hai cavi ed elettrodi sul corpo e una telecamera puntata su di te. Quando mi sono rivisto al mattino non mi riconoscevo. Ho dovuto farlo per la scrittura».
Oppure, per Archivio, la rivista di cui è direttore, l’anno scorso Millefoglie è stato a Durazzo insieme al capitano della Vlora, la nave che nel 1991 aveva portato i profughi albanesi nel porto della sua città, Bari, dove ha intervistato anche tutte quelle persone che 30 anni fa avevano accolto i migranti provenienti dall’altra sponda del mare Adriatico.
Classe 1977, giornalista e scrittore, Valerio Millefoglie è uno dei protagonisti di Truly Unique People by Ploom, una serie di talks organizzati da Ploom in collaborazione con Rolling Stone.
Nicolò De Devitiis lo ha intervistato nel Ploom Space dell’iH Hotels Grande Albergo delle Nazioni di Bari, dove Millefoglie ha raccontato la sua storia e il rapporto tra la sua città natale e il proprio lavoro da reporter, scrittore e performer.
Oltre a dirigere Archivio, il magazine citato poco sopra, Millefoglie collabora con il quotidiano la Repubblica e nella sua carriera ha pubblicato svariati libri, tra cui il curioso Mondo Piccolo. Spedizione nei luoghi in cui appena entri sei già fuori (Laterza, 2014).
E proprio parlando di questo libro Millefoglie spiega il suo punto di vista su ciò che rende unica una città: «Mondo piccolo è nato perché sono rimasto sorpreso da una città dove non c’era niente, se non una chiesetta: dicevano fosse la cattedrale più piccola del mondo. Così mi sono immaginato un matrimonio tra separati: prima entra la sposa, poi entra lo sposo e nessuno dei due sa se l’altro ha detto sì o no, rimarranno con il dubbio eterno».
Valerio Millefoglie si è avvicinato alla scrittura in un posto ben preciso di Bari, che ricorda con profondo affetto: «Lo stradone di Parco 2 giugno, nel quartiere in cui sono nato, in zona San Pasquale. Ero uno skater, usavamo la città come uno skatepark, e ci portavamo dietro lo stereo. Così, mentre andavo in skate, ascoltavo gruppi come Public Enemy e Beastie Boys. E grazie alla musica ho scoperto la possibilità di un certo tipo di scrittura: il tappeto sonoro equivaleva a una pagina bianca su cui potevi dire tutto quello che volevi».
E così Valerio Millefoglie racconta momenti segnanti della propria adolescenza: «Avevo trasformato lo scantinato della mia vecchia casa in una sala prove: passavo le serate a mixare con le cuffie e scrivere in modo cosciente».
Nel corso degli anni, scrittura e musica si sono intrecciate inevitabilmente più volte: Millefoglie ha pubblicato un album, I miei migliori amici immaginari, mentre un suo libro, Manuale per diventare Valerio Millefoglie, è stato la fonte di un reading fatto da lui stesso durante il tour di Fuori dal tunnel del suo amico, compaesano, Caparezza.
«Mi sorprende ciò che è diventata Bari», ammette Millefoglie, che anni fa ha lasciato la città per trasferirsi a Milano: «Se fossi adolescente ora, forse non me ne vorrei andare così presto. Ai tempi mancava l’ascolto, avevo la percezione che mancassero le orecchie».
Se si è reso conto che oggi Bari ha orecchie per ascoltare e capire, è perché torna comunque spesso nella sua città d’origine, dove emergono ricordi importanti e dove spuntano realtà inedite e sorprendenti.
«Bari mi ha dato la profondità», dice Millefoglie: «Ricordo quando tornavo in auto in città, sudato dopo aver giocato in campagna, guardavo fuori dal finestrino ascoltando i Jackson 5: è da quelle atmosfere che arriva la mia voglia di andare a fondo nella vita delle persone che conosco attraverso le mie interviste. Se fossi nato in un’altra città, in una metropoli, avrei sicuramente tutt’altra visione».
E così «Bari è una sorta di biblioteca da cui attingere, per me è una specie di cassettiera in cui ci sono cose che mi hanno influenzato e su cui posso tornare. Ci sono i ricordi di casa della nonna sul lungomare oppure le ripetizioni di matematica che mi faceva nel 91 uno studente di medicina che poi andava al porto a visitare i profughi». Dai primi arriva uno degli spunti per il suo prossimo libro, mentre quelle ripetizioni di matematica sedimentate nella memoria sono la base per il già citato reportage sullo sbarco dei profughi albanesi a Bari.
Ma non c’è solo la Bari del passato. «In un reportage che ho scritto recentemente», racconta Millefoglie, «cito un pranzo fatto al Santa Lucia, un ristorante sul lungomare. Mi aveva colpito il tavolino a precipizio sull’acqua, tanto da spingermi a staccare il telefono. È stato un momento contemplativo, che è quello che serve per scrivere: una tua bolla, un posto che ti permette di stare lontano da tutto il resto».
E poi ci sono posti nuovi, vivaci, che – fossero esistiti negli anni Novanta – forse avrebbero trattenuto a Bari il giovane Millefoglie: «Ora ci sono tante realtà interessanti, come per esempio la libreria Millelibri, l’unica in Italia specializzata in poesia. È stata aperta da due ragazze che l’hanno arredata con i mobili del salotto del nonno di una di loro, libri compresi».
Valerio Millefoglie non è un semplice giornalista o scrittore. Le storie che trova, talvolta, diventano la base per performance come quella portata in tour con Francesco Bianconi nel 2020, Forever Accade!: «Se ci pensate, è folle: arrivavo in città il giorno prima alla ricerca di una storia interessante che mi era stata segnalata, incontravo le persone protagoniste di queste storie, facevo audio-reportage, campionavo tutto, facevamo le prove e la sera andavamo in scena. Tutto questo nel giro di 24 ore, per cinque o sei date. Credo di essere l’unico a fare cose del genere».
E l’unico a imbattersi per caso, come serendipity comanda, nella casa di Charlie Chaplin: «Ero andato a fare una ricerca sul Lago di Ginevra e mentre ero in viaggio scopro che una tenuta in ristrutturazione era la maison Chaplin. Così mi sono messo in contatto con la Fondazione Charlie Chaplin per raccontare la storia insieme al figlio, Michael Chaplin. Ci sono tornato più volte, ricordo di aver tirato fuori da uno scatolone i dischi di Charlie Chaplin. Oppure il figlio Michael che mi diceva: “Qui mio papà mi ha tirato uno schiaffo”, oppure: “A questo telefono aveva chiamato Michael Jackson che si era perso a Ginevra…” Il racconto finì in prima pagina su Repubblica».
Che si parli di discendenti di Charlie Chaplin o generosi baresi che aiutarono i profughi albanesi, Millefoglie ha una certezza su tutti i protagonisti delle storie che racconta: «Approcciandomi ai reportage, mi accorgo che nel momento in cui inizi ad approfondire chiunque è unico. E in ogni racconto, in ogni opera, l’importante è la verità: se c’è dietro una testimonianza profonda, un’urgenza, te ne accorgi subito».
Potete approfondire la storia di Valerio Millefoglie e il suo rapporto con Bari e la scrittura guardando l’intervista con Nicolò De Devitiis per Truly Unique People by Ploom, una serie di talks organizzati da Ploom e Rolling Stone.
Tra i protagonisti delle interviste ci sono anche il musicista Roy Paci, lo street artist Giulio Rosk e il fotografo Piero Percoco.