Nel quadro del 1810 di Caspar David Friedrich L’abbazia nel querceto, un gruppo di monaci trasporta una bara in un paesaggio innevato fino alle rovine di una chiesa gotica. Dietro a quel che rimane dell’abbazia, un boschetto di querce nodose e spoglie ondeggia alla fioca luce del sole. La morte incombe: non col suo fetore, ma con un senso di infinità.
Tutte le volte che ascolto Savage Mode, il disco del 2016 di 21 Savage e Metro Boomin e probabilmente la più grande collaborazione tra un rapper e un producer dell’ultimo decennio, penso a quel quadro bello e desolato. La produzione di Metro – spoglia, surreale, a volte serena – aveva macabri dettagli orchestrali, con fiati tremolanti e sintetizzatori che sembravano fiati maledetti. Quei beat davano un nuovo contesto al nichilismo e alle cupe storie personali di Savage. Prima dell’improvviso “ritiro” del 2018, Metro era arrivato a un livello di produzione altissimo riducendo ai minimi termini il massimalismo di Lex Luger e usando la trap mainstream di Atlanta come un laboratorio per i suoi studi sulla stratificazione del suono. Nonostante tutti i suoi trionfi, non ha mai pubblicato un disco visionario e coraggioso come Savage Mode.
Con Savage Mode II, 21 e Metro hanno confezionato un seguito quasi perfetto, un disco che recupera le atmosfere del precedente e trova un’identità nuova, diventando un tributo alla musica con cui i due sono cresciuti. La voce narrante di Morgan Freeman non è uno stratagemma pubblicitario, ma il tessuto connettivo di tutto il progetto. Anche se 21 celebra la sua ascesa dalla strada alle Rolls-Royce e il suo rifiuto di indossare orologi che valgono meno di 100 mila dollari, Savage Mode II affonda nelle stesse radici malate del primo capitolo.
In My Dawg, il rapper racconta una rapina a un banco dei pegni andata male in cui il suo amico Larry ha perso la vita. In Rip Luv ricorda i suoi amori falliti e i suoi desideri come aveva già fatto in Feel It. Allo stesso modo, Metro riprende molte idee da SM1 e torna ad esplorare gli spazi negativi. In Slidin sembra quasi che abbia pitchato l’iconico loop stonato di No Heart, mentre in Many Men riecheggia il lento sintetizzatore arpeggiato che ha dato forma a pezzi come Savage Mode e X.
Se Savage Mode e Without Warning – il mixtape a tema Halloween del 2017 che il duo ha registrato con Offset – possono esser visti come una ridefinizione moderna del mix tra horrorcore e gangsta rap portato sulla scena 25 anni fa da Three 6 Mafia e Geto Boys, Savage Mode II sembra aprire una conversazione con il rap e l’r&b scritta quando 21 e Metro erano ragazzi.
La mossa più esagerata del disco non è la presenza di Morgan Freeman, ma la copertina disegnata da Pen & Pixel, lo studio di graphic design di Houston celebre per aver inventato l’estetica di Cash Money e No Limit. Nei brani più solari del disco, 21 rappa su tastiere scintillanti alla Whitney Houston e usa Sade e le TLC per raffigurare metafore erotiche. Many Men campiona il brano omonimo del 2003 di 50 Cent, e Rich Nigga Shit galleggia su un beat rallentato e affogato nella codeina. Nella coraggiosa Steppin On Niggas, 21 fa una buona imitazione di Eazy-E, mentre Metro riutilizza Everlasting Bass, il brano del 1988 di Rodney O e Joe Cooley che i Three 6 hanno usato diverse volte.
L’omaggio più sfacciato di Savage Mode II, però, è l’outfit che Metro indossa nel video di Runnin: una maglietta dei Three 6 e un cappellino che recita “Make DJ Paul and Juicy J Three 6 Mafia Again”. È un gesto che incapsula le differenze tra questo progetto e il precedente, che sembra destinato a diventare uno dei classici assoluti del genere. Se SM1 era ineffabile e mistico, Savage Mode II mostra apertamente le sue influenze e si conquista un posto nel canone del Southern rap.