Venticinque anni fa, Alanis Morissette è diventata una superstar da un giorno all’altro. Era stata piantata in asso, era arrabbiata e pensava che il mondo dovesse saperlo. Ora che è più grande sembra aver fatto pace con alcuni dei suoi demoni, e in questo disco l’angoscia è stata sostituita da ansia e depressione generalizzata. Such Pretty Forks in the Road è il suo primo lavoro in otto anni nonché il nono della sua carriera. Se dobbiamo trattarlo come autobiografia, possiamo dire che Alanis ora è una madre che soffre di insonnia, riconosce le sue dipendenze, si fa di tanto in tanto di acidi e, dopo essere sopravvissuta a una sorta di esaurimento nervoso, ha una ironia ancora più tagliente. Ma purtroppo la sua cris de coeur non si traduce in canzoni accattivanti.
Nel brano migliore, Reasons I Drink, Alanis fa il punto su come abbia raggiunto la crisi di mezza età (lavoro da quando me lo ricordo, dice nel testo) e dettaglia le sue dipendenze su una linea di pianoforte ottimista. «Niente può darmi una pausa da questa tortura», canta nel brano. E sembra trascorrere gran parte del disco in una specie di purgatorio.
Nel brano d’apertura, Smiling, Alanis rivisita l’atmosfera contemplativa di Uninvited per raccontare la sua “vita di eccessi” e “l’anatomia del suo incidente”. Ma si passa rapidamente a quella sorta di soft-rock contro cui le sue registrazioni degli anni Novanta sembravano ribellarsi. E lì si rimane a lungo.
Le rivelazioni personali di Losing the Plot suonano un po’ assonnate. In Reckoning descrive la sua morte nel terzo verso con un sottofondo di chitarre acustiche. In Her invece canta di essere sul pavimento della sua cucina, e chiede aiuto con l’ausilio di una calda linea di pianoforte. Nonostante tutta l’emozione che riversa nel creare le sue storie, le canzoni sembrano confondersi un po’. Il racconto più interessante del disco – Pedestal, che potrebbe essere You Oughta Know, Part Two, poiché maledice un amico o un ex che ha fatto strada utilizzando il suo nome – potrebbe essere un po’ troppo delicata per far strabuzzare gli occhi della persona a cui è dedicata. Such Pretty Forks è un po’ così: molto personale ma mai troppo profondo.
Questo articolo è apparso originariamente su Rolling Stone USA