Alejandro González Iñárritu - Revenant-Redivivo | Rolling Stone Italia
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Alejandro González Iñárritu – Revenant-Redivivo

Alcuni chef sostengono che la cosa più importante per un grande piatto, prima ancora di tecnica, originalità, presentazione, sia la qualità degli ingredienti. Se applichiamo questa formula al cinema, possiamo affermare tranquillamente che un film come Revenant-Redivivo (titolo originale The Revenant, ndr) ha ingredienti pazzeschi: un regista, Iñárritu, fresco di Oscar per l’osannato Birdman; un […]

Alcuni chef sostengono che la cosa più importante per un grande piatto, prima ancora di tecnica, originalità, presentazione, sia la qualità degli ingredienti. Se applichiamo questa formula al cinema, possiamo affermare tranquillamente che un film come Revenant-Redivivo (titolo originale The Revenant, ndr) ha ingredienti pazzeschi: un regista, Iñárritu, fresco di Oscar per l’osannato Birdman; un direttore della fotografia, Lubecki, tra i migliori in circolazione (Oscar per Gravity e Birdman); il più importante attore di questi anni, Leonardo DiCaprio, in cerca della performance definitiva che gli darà finalmente quel benedetto Oscar che doveva vincere per The Wolf of Wall Street; una colonna sonora altrettanto da Oscar (Sakamoto, Alva Noto e Bryce Dessner dei National) e, non ultima, una storia epica (ma perlopiù reale) come quella di Hugh Glass, cacciatore di pellicce nell’America inesplorata d’inizio Ottocento, macellato da un grizzly e tradito dai suoi compagni, morto e risorto e abbandonato dentro una natura ostile e bellissima, la sua pelle straziata tenuta insieme solo in virtù del sentimento della vendetta. Il pregio maggiore di Revenant è riuscire a mantenere un equilibrio miracoloso tra la tensione narrativa, che non diminuisce mai nelle due ore e mezzo di film, e un tono poetico/contemplativo in stile Terrence Malick, che resta il più grande cantore della natura americana. Il riferimento più vicino a Revenant potrebbe però essere il western metafisico di The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford (2007), ma senza le sue lungaggini eccessive e i silenzi forzati. La macchina da presa di Iñárritu accompagna il viaggio di Glass a distanza estremamente ravvicinata, senza timore di appannarsi per il suo fiato difficoltoso o di macchiarsi del suo sangue: l’autore di Revenant è lì, con i piedi immersi nella neve e nell’acqua insieme al suo protagonista, incurante del gelo, del dolore e della paura. E noi siamo con lui. A questo film qualcuno continuerà a preferire Birdman, più programmaticamente artsy e ambizioso, ma altri (compreso chi scrive) rimarranno convinti che Revenant sia il miglior film di Iñárritu: un racconto maestoso che non ha un solo dettaglio di troppo, in cui tutto appare spontaneo, indispensabile, e al tempo stesso controllato in ogni sua minima parte.ibs_button

Alcuni chef sostengono che la cosa più importante per un grande piatto, prima ancora di tecnica, originalità, presentazione, sia la qualità degli ingredienti. Se applichiamo questa formula al cinema, possiamo affermare tranquillamente che un film come Revenant-Redivivo (titolo originale The Revenant, ndr) ha ingredienti pazzeschi: un regista, Iñárritu, fresco di Oscar per l’osannato Birdman; un direttore della fotografia, Lubecki, tra i migliori in circolazione (Oscar per Gravity e Birdman); il più importante attore di questi anni, Leonardo DiCaprio, in cerca della performance definitiva che gli darà finalmente quel benedetto Oscar che doveva vincere per The Wolf of Wall Street; una colonna sonora altrettanto da Oscar (Sakamoto, Alva Noto e Bryce Dessner dei National) e, non ultima, una storia epica (ma perlopiù reale) come quella di Hugh Glass, cacciatore di pellicce nell’America inesplorata d’inizio Ottocento, macellato da un grizzly e tradito dai suoi compagni, morto e risorto e abbandonato dentro una natura ostile e bellissima, la sua pelle straziata tenuta insieme solo in virtù del sentimento della vendetta. Il pregio maggiore di Revenant è riuscire a mantenere un equilibrio miracoloso tra la tensione narrativa, che non diminuisce mai nelle due ore e mezzo di film, e un tono poetico/contemplativo in stile Terrence Malick, che resta il più grande cantore della natura americana. Il riferimento più vicino a Revenant potrebbe però essere il western metafisico di The Assassination of Jesse James by the Coward Robert Ford (2007), ma senza le sue lungaggini eccessive e i silenzi forzati. La macchina da presa di Iñárritu accompagna il viaggio di Glass a distanza estremamente ravvicinata, senza timore di appannarsi per il suo fiato difficoltoso o di macchiarsi del suo sangue: l’autore di Revenant è lì, con i piedi immersi nella neve e nell’acqua insieme al suo protagonista, incurante del gelo, del dolore e della paura. E noi siamo con lui. A questo film qualcuno continuerà a preferire Birdman, più programmaticamente artsy e ambizioso, ma altri (compreso chi scrive) rimarranno convinti che Revenant sia il miglior film di Iñárritu: un racconto maestoso che non ha un solo dettaglio di troppo, in cui tutto appare spontaneo, indispensabile, e al tempo stesso controllato in ogni sua minima parte.

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