C’è qualcosa di più terrificante dell’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti? Non secondo Ryan Murphy, il creatore di American Horror Story, che, in occasione della settima stagione della serie antologica, gioca facile, e cerca l’horror nella contemporaneità, anzi, nella realtà quotidiana a stelle e strisce. Manicomi criminali, streghe, freak e case infestate spostatevi: il nuovo creepy è rappresentato dai cappellini con la scritta “Make America Great Again”.
Cult parte dall’inizio della fine: l’election night dell’8 novembre 2016. Donald vs. Hillary Clinton, sappiamo com’è andata. E se la vittoria di Trump getta nella disperazione e nella paranoia Ally, mamma gay sposata con la compagna, quello stesso risultato galvanizza Kai Anderson, un giovane razzista esaltato che, mentre finge di scoparsi la tv, urla: “La rivoluzione è iniziata”.
Sarah Paulson ed Evan Peters, efficacissimi veterani dello show, rappresentano due lati di uno stesso disagio: l’ondata di paura che paralizza una nazione. Il secondo, in particolare, dà vita al suo personaggio più inquietante, vera e propria incarnazione della retorica dell’odio vomitato in Rete.
E l’angoscia riporta a galla le peggiori fobie di Ally: su tutte, quella dei clown. Un Murphy politico come non mai omaggia il passato della serie (torna anche Twisty!), e cavalca l’isteria collettiva per i pagliacci killer (sta per tornare nelle sale It), specchio della follia di un’America nevrotica e incazzata. Lo stile di regia è quello ormai consolidato, ma, sui tecnicismi delle scorse stagioni, ha la meglio la scrittura. Che ci va giù un po’ pesante, almeno per quanto riguarda i primi tre episodi, lasciando chi guarda a chiedersi se non risulti troppo caricaturale (o troppo vera?). In fin dei conti, Trump alla Casa Bianca è l’unica storia dell’orrore da cui, per il momento, non è possibile svegliarsi.