Scrollando a caso nella filter bubble che mi sono costruito a suon di click e like, qualche tempo fa mi è capitato sotto il naso l’articolo di una testata online inglese. Si intitolava tipo “Ha ancora senso parlare di indie?” e nell’immagine del link svettava il faccione bonario di Win Butler e dei suoi compagni, gli Arcade Fire.
Non ho cliccato perché la risposta la conosciamo tutti, ed è: “Passaparola” o “Chiedo l’aiuto da casa”, o qualsiasi altra formula avrebbe dato un concorrente di Gerry Scotti a una domanda in sé poco chiara. Per “indie” intendiamo l’approccio indi- pendente alla discografia, oppure il codice estetico che ne è derivato, quello fatto di produzioni e testi “sfigati”, fatti apposta per sembrare più ironici verso le altre band, quelle serie? Perché in entrambi i casi i canadesi non c’entrano più niente da un bel po’.
Allora ecco che la scelta di uno dei gruppi più popolari dell’era di Internet per illustrare l’articolo si rivela nella sua vera natura: portare click facili. Sfruttare proprio loro che nel 2011 sono stati baciati dalla Dea dei server e dei cavi ethernet rimbalzando da sito a sito, da forum a forum, fino a beccarsi un Grammy e un Brit Award.
«Ciao telecamera! Noi siamo gli Arcade Fire, cercateci su Google!», aveva detto Butler – mente e nucleo centrale della band, insieme alla moglie Régine Chassagne – con in mano il Brit per il Best International Album strappato a un Eminem e una Katy Perry increduli. Gabbati da dei perfetti sconosciuti e da un album, The Suburbs, che non aveva niente da spartire con gli altri in gara, con tutti quei cori e le chitarrine nostalgiche.
È stato il disco della fama, quello sì, ma anche lo spartiacque fra album più coesi (poco pop) e grosse raccolte di singoli radiofonici. Insomma, se The Suburbs è stato il primo tuffo lontano dall’indie (Wikipedia li tiene ancora lì dentro), Everything Now ha definitivamente reso carta straccia quel fascicolo.
Qui, la parola d’ordine per entrare alla festa è “funk”. Una volta varcato l’ingresso e superato il corridoio introduttivo di Everything Now (Continued) – si chiude con un crescendo, a differenza del pezzo gemello, ultimo nella tracklist – vieni investito dal fascio di luce di una palla a specchi. Sono gli anni ’70 e la title track, confezionata con l’aiuto di Thomas Bangalter dei Daft Punk, ha in testa un solo obbiettivo: gli ABBA. Sarà un caso, o il collettivo alt-rock più venerato degli ultimi 10 anni ha davvero appeso il folk al chiodo? Beh, direi più la seconda.
Buttarla sul ballo è davvero paracula come mossa. Ma in fondo chi siamo noi per non ballare?
Ogni elemento, persino il pathos vocale dei primi Funeral e Neon Bible, ora si ritrova soggiogato al ritmo, alle percussioni. Buttarla sul ballo è davvero paracula come mossa, ma chi siamo noi per non ballare? Signs Of Life sequestra gli archi ai Boney M e li piazza su un pattern ossessivo di batteria degli LCD Soundsystem.
Se fossi James Murphy, non so bene se mi sentirei onorato o mi incazzerei, perché nessuno se la fila più se la faccio io, quella roba lì – per inciso, già uno dei top comment sotto il video YouTube del penultimo Reflektor era “This is my favourite LCD Soundsystem album”. Creature Comfort poi sembra appena sfornata dalle fauci del Deewee, lo studio di registrazione dove i Soulwax passano intere giornate a spippolare sui sintetizzatori.
E ancora Electric Blue e Put Your Money On Me e quel basso appiccicoso che fa ciao ciao ai Tame Impala ma da lontano, senza scatenare potenziali casi diplomatici come con gli LCD. Infinite Content (2) da sola è l’unico spiraglio country dell’ensemble, ma solo perché la sua sorella gemella ha sfogato due minuti prima lo stesso identico testo (allusione chiara alla vita ai tempi di Internet) però su una caciara punk rock. “Ogni volta che sorridi fai finta. Quindi smettila, hai già tutto adesso!”, canta concitato Win in Everything Now, prendendosela con Instagram, il suo culto dell’immagine e forse anche il primo alleato della band: la Rete.
Ah, stanno così le cose? Gli Arcade Fire sono riusciti a voltare le spalle all’indie, al folk, e ora si scagliano pure contro Internet? «Bella faccia tosta», dissero i fan scontenti. Alla data italiana del tour. Ballando.