Freddie Gibbs e Madlib sono due personaggi leggendari con mistiche diametralmente opposte. Gibbs è l’eroe della Rust Belt, un fuorilegge che da più di 10 anni scrive rime inespugnabili. Madlib è altrettanto prolifico ma molto più elusivo – è un produttore perennemente in acido; passa la maggior parte dei suoi giorni a scovare sample sconosciuti dalla sua immensa collezioni di dischi che, secondo un calcolo del 2014, dovrebbe pesare più di quattro tonnellate. Nell’universo hip-hop, Madlib è la cosa più vicina a un vero e proprio stregone.
Piñata, il loro album del 2014, dimostrò a tutti che i due erano la coppia perfetta. I racconti di Gibbs, tutti ambientati nell’estate eterna dello spaccio nella sua città natale Gary, in Indiana, si mescolavano con facilità con i beat immacolati di Madlib traboccanti di soul e orchestre nostalgiche. I fan aspettavano da tempo il seguito, Bandana: Madlib ne parlò per la prima volta nel 2016, quando annunciò che nell’album ci sarebbe stato parte del materiale che aveva inviato a Kanye West per le session di Life of Pablo. («Freddie se l’è preso e ha scritto rime per tutto. Kanye ha aspettato troppo», ha detto).
Bandana è più strano, più libero, più “alla Madlib” del predecessore. Gibbs rimane un maestro; galleggia su ogni beat come Omar Vizquel, ha un flow torrenziale, una scrittura sintetica e d’impatto, rime che emanano puro carisma. Il risultato finale è glorioso – il suono di due veterani al massimo delle forze, impegnati a cercare i limiti della loro chimica anche se questi limiti forse non esistono.
In Bandana, Madlib attinge allo stesso tipo di materiale utilizzato per Piñata, ma lo utilizza in modo completamente diverso. La produzione è molto più libera e divertita. È raro che un beat sostenga un brano dall’inizio alla fine. La maggior parte delle canzoni finiscono con una coda inaspettata – Gibbs chiacchiera con il fonico in cabina d’incisione, un uomo giapponese incoraggia l’ascoltatore dicendo “light the motherfucking weed up, bitch”. Nel frattempo, una manciata di beat a sorpresa, di inversioni di marcia a metà brano, danno a Bandana la stessa struttura informale dei freestyle dei Five Fingers of Death. Se la prima parte di Flat Tummy Tea sembra un inseguimento, la seconda ricorda più un doposbronza colossale.
Gibbs è la forza controbilanciante del disco: è lui, con le sue rime accuratamente avvolte una dentro l’altra, che tiene Bandana ancorato al terreno. È talmente carismatico da farci dimenticare quanto la sua penna sia affilata. C’è una corrente politica e anti-autoritaria che viaggia sotto a tutte le canzoni di Bandana: Gibbs se la prende con Jeff Sessions, la polizia di Los Angeles e chi ha ucciso Terrence Crutcher. Mescola temi diversi con naturalezza, è un dissidente di natura. Dice di aver scritto l’80% dei testi di Bandana durante la detenzione nel carcere di Austrian, mentre aspettava di rispondere in tribunale alle accuse di violenza sessuale (è stato assolto). Le sue sono rime rabbiose, soprattutto in Flat Tummy Tea, dove colleziona il verso più sconvolgente dell’album: “Crackers came to Africa, ravaged, raffled, and rummaged me / America was the name of they fuckin’ company / Stackin’ niggas like cargo over and under me / Pick cotton balls and the coca leaf off the money tree.”
Bandana è il primo album di Madlib dopo quattro anni di assenza, ma ascoltandolo sembra di più il momento di gloria di Gibbs. È il suo primo album con una major dal 2007, quando Interscope si liberò di lui senza troppe cerimonie. Nell’ultimo anno ha dimostrato di essere a suo agio anche in produzioni estremamente diverse una dall’altra, dai retrobottega scuri e omertosi di Fetti fino alle 808 distorte di Freddie. Adesso, però, quei progetti sembrano solo un antefatto per Bandana, un album che supera tutte le aspettative nate dopo l’uscita di Piñata. Gibbs adesso ha 37 anni, nel mondo del rap è praticamente un pensionato, ma non è mai sembrato così vitale come in Bandana. “I grandi MC si muovono nell’ombra”, dice, finalmente pronto a ricevere la sua standing ovation.
Freddie Gibbs suonerà in Italia il 5 novembre alla Santeria di Milano.