Kahndaq, Medioriente, 2500 A.C. circa, un tiranno vuole disperatamente estrarre un raro minerale conosciuto come “eternium”. Gli schiavi lavorano giorno e notte alla ricerca di questa risorsa magica, in modo che il re possa ricavarne una corona soprannaturale che gli conferisca un potere sconfinato. Per fortuna un consiglio di antichi maghi nomina un ragazzo difensore di quel popolo, e con una parola (“Shazam!”), il giovane viene trasformato in un potente eroe. Prima che il sovrano diventi inarrestabile e immortale, il nostro distrugge il palazzo e seppellisce la corona, ma sfortunatamente, pure se stesso. Dormirà per 5000 anni, prima di svegliarsi parecchio arrabbiato…
Burbank, California, inizio del XXI secolo, un gruppo di dirigenti degli studios cerca disperatamente di sfruttare i numerosissimi personaggi di una società di fumetti nota come “proprietà intellettuale”. Sceneggiatori e produttori lavorano giorno e notte alla ricerca del giusto marchio con cui creare un universo cinematografico, in modo da far diventare ricchi i loro capi. Nonostante abbia una sfilza di iconici supereroi a portata di mano, questo universo – chiamiamolo DCEU – si è scontrato con molti ostacoli: troppi character blandi, troppo scaricabarile, alcune decisioni discutibili e problemi con il comportamento dei talent dietro le quinte. Fortunatamente, una delle ultime star del cinema rimaste li ha ritenuti degni del suo talento e, con due parole (“Black Adam!”), ha trasformato un vuoto di programma in un potenziale blockbuster. Potrebbe addirittura cambiare “la gerarchia del potere” del franchise e fare felici gli azionisti.
Black Adam è apparso nel mondo dei fumetti per la prima volta nel 1945 ed è stato reintrodotto come nemesi di Shazam negli anni ’70 (tanto che il suo costume è la versione in negativo di quello dell’eroe). Dwayne Johnson l’ha nominato più volte negli anni come il suo preferito della DC. L’attore ha provato realizzare un film incentrato sul supercriminale/antieroe per oltre un decennio e, viste le sue credenziali da box office e una mentalità da “continuiamo a provarci finché funziona”, sembrava arrivato il momento giusto. In più Warner ci guadagna pure un film starring Dwayne Johnson. E se lo studios può anche introdurre un nuovo gruppo di supereroi nel mentre, tanto meglio.
Mettiamola così: Johnson non è il problema di Black Adam. Sostanzialmente The Rock era già un supereroe in Fast & Furious, dato il suo fisico e il totale disinteresse della saga per qualsiasi legge della fisica, gli mancava solo il fulmine sul petto. E Johnson si adatta a questo mondo con la massima disinvoltura, sembrando perfino serio mentre distrugge cose e sfrutta quello che si scoprirà essere un tragico retroscena. Ogni tanto riesce pure a fare amicizia con un bambino e fare una battuta. Johnson collabora ancora una volta con il regista di Jungle Cruise Jaume Collet-Serra, che dirige tutto come se fosse a Disneyland. Immaginato come un film leggero con molti effetti speciali è un po’ noiosetto, ma il problema è tutto quello che gira intorno a Johnson. Anche per gli standard del DCEU, è un pasticcio.
Dopo un rapido preambolo sull’origin story, veniamo catapultati nel moderno Kahndaq, che è diventato un territorio occupato sotto il governo di mercenari transnazionali noti come “Intergang”. Una professoressa universitaria di nome Adrianna (Sarah Shahi) pensa di sapere dov’è l’oscurissima corona del Sabbac. Insieme all’amica Karim (Mo Amer, che fornisce il comic-relief) e al figlio adolescente skater Amon (Bodhi Sabongui), riesce a localizzare la reliquia in una grotta sotterranea. Peccato che i soldati stiano aspettando di tendere loro un’imboscata e la sua unica speranza sia quella di evocare il difensore della loro terra morto da tempo tramite un’antica iscrizione.
Boom! Arriva Dwayne Johnson, i soldati aprono il fuoco e vengono lanciati in giro come bambole di pezza, oltre a essere colpiti e inceneriti dai fulmini. Una volta che la mischia si sposta all’esterno, aerei da combattimento, elicotteri, carri armati e armi pesanti, per non parlare di tutti quelli che li controllano, vengono brutalmente distrutti sulle note di Paint It Black dei Rolling Stones. Volevano un eroe, ma visto che questo superumano si è svegliato male, si ritrovano con una macchina per uccidere.
Tutto questo caos attira l’attenzione della Justice Society, che sembra aver abbandonato la parte “of America” del suo vecchio nome, per far sembrare questa organizzazione più internazionale e potersi mettere il naso anche negli affari di altri Paesi. L’organizzazione è gestita da Carter Hall, alias Hawkman (Aldis Hodge), che deve assemblare rapidamente una squadra di… chiunque sia disponibile in quel momento. Indovinate: alla chiamata rispondono Kent Nelson, alias Doctor Fate (Pierce Brosnan); Al Rothstein, alias Atom-Smasher (Noah Centineo); e Maxine Hunkel, alias Cyclone (Quintessa Swindell). Questi quattro saltano su un superjet e sfrecciano verso Kahndaq, dove Black Adam sta spazzando via i cattivi. Lo affrontano per “negoziare pacificamente i termini della sua esistenza”. Spoiler: è un gran casino.
A proposito di casino: chi è Hawkman? È un tizio normale che si è costruito una tuta da falco meccanico? È un superumano, visto che a un certo punto riesce a lanciare un’auto? Una combinazione di entrambi? E Doctor Fate – ci è stato detto che conosce la magia, può predire il futuro e ha un elmo che viene dallo spazio profondo, ma quali sono i suoi poteri esattamente –? Cyclone e Atom-Smasher ci vengono spiegati un po’ meglio, ma cosa ci fanno qui? Come si inserisce questo gruppo nell’ecosfera del DCEU? E quando arriva il vero supercriminale del film, mettendo da parte le inevitabili differenze per combattere un nemico comune, che succede? Tutte queste domande sono estenuanti.
Si potrebbe dare a Black Adam la sufficienza anche se mancano le backstory di molti dei personaggi principali. Per alcuni però, vederli sullo schermo è abbastanza per perdonare praticamente qualsiasi cosa. Quando però ci aggiungi l’incapacità di mettere insieme il genere antieroe con la banale narrativa di supereroi vecchio stile – i toni proprio non vanno insieme –, oltre a scene d’azione che sembrano uscite da un videogioco del 2010, immagini d’archivio, un facile riferimento all’instabile situazione politica e la sensazione che tutto sia stato incollato in fretta, sembra di essere stati vittime di una truffa multiplex. Per quanto riguarda la sorpresa dei titoli di coda (di cui probabilmente avete già sentito parlare), in realtà rivela solo che qualcuno ha negoziato con successo un rinnovo del contratto. Nemmeno il piacere di vedere Johnson entrare in un altro blockbuster che sembrava destinato a dominare può compensare quanto tutto sia pigro e incoerente. Il suo sogno merita di meglio. E pure noi.