L’ultima cosa che Lana Del Rey ha voluto farci sapere prima di chiudere l’account Instagram è che Blue Banisters, il suo settimo album con una major, racconta la sua storia «e nient’altro». È un’affermazione stranamente chiara per una che solitamente lancia i dischi con messaggi interpretabili solo da un laureato in crittografia. Dopo avere ascoltato questa raccolta di poesie accompagnate in buona parte dal pianoforte, è chiaro che la cantante ci ha fornito una chiave di lettura parziale.
All’inizio dell’anno Del Rey ha pubblicato Chemtrails Over the Country Club, un disco melodico e vivace con testi che sembravano ispirati alla vecchia idea di Jack Kerouac del road trip americano come mezzo per purificare lo spirito. Blue Banisters è più astratto, difficile da assorbire e decisamente più introspettivo. La canzone più orecchiabile è Arcadia, tutta dedicata a una città mitologica che esiste nello stesso spazio in cui esiste l’anima. “Tutte le strade che portano a te fanno parte di me come arterie”, canta Lana con aria sognante, paragonando la California al proprio corpo. Come se guardarsi dentro fosse l’unica forma di evasione di cui si fida.
Per fortuna non deve affrontare il viaggio da sola. La title track è un ritratto di gruppo di donne che vivono sotto lo stesso tetto, ovvero Jenny, Nicki, Tex, Mex e Chucky, immaginate una specie di Ragione e sentimento di Jane Austen ambientato in una casa di lusso di Los Feliz, a Los Angeles. Le amiche la aiutano a superare il dolore causato da un uomo che “diceva che avrebbe riparato il segnavento, che mi avrebbe dato dei figli e liberato dal dolore, che avrebbe dipinto di blu la staccionata”. Alla fine sono le ragazze a dipingere la staccionata, metafora di rinascita. Quando Del Rey descrive la scena – “Chucky sta cucinando la torta di compleanno / le galline corrono / c’è una bimba in arrivo, scalza” – rende palpabile e senza tempo l’operosità e la vita nella casa. È come se in quella scena domestica e in quel legame di sorellanza ci fosse una qualche magia primitiva. “Ogni volta che arriva maggio / le mie sorelle volano da me per dipingere e dipingere”, canta Lana.
Il tono dell’album si fa più teso quando Del Rey canta della solitudine tipica della donna moderna: i festini vuoti (Thunder), gli adulatori (Black Bathing Suit), l’eterna ricerca d’un compagno (Suit). In Text Book descrive il corteggiamento come una danza, un inganno che svela cantando: “Se mi facessi bionda, tornerebbe anche il nostro vecchio amore?”. In Violets for Roses le cose si fanno più serie, è una canzone che parla di come un uomo può strapparti via la tua identità.
Le canzoni più cupe sono musicalmente impenetrabili, piene di versi frammentati e cadenze insolite. Non ci sono le voci svolazzanti, né la narrazione melodiosa che si trovano altrove. In Wildflower Wildfire Del Rey sembra ubriaca, oscilla tra il registro basso e quello alto, cantando: “Non potevo sapere quanto il mondo fosse crudele”. In Nectar of the Gods grida da selvaggia e parla di impazzire, per poi offrire una versione ridotta ai minimi termini della sua origin story:
“Mio padre non ha mai fatto nulla quando sua moglie si arrabbiava con me
Così sono diventata strana ma gentile
Più avanti, in ospedale, ferma in piedi
Tranquilla e anestetizzata, ma col litio è arrivata la poesia”
Banisters tratta un tema già presente nella musica di Lana Del Rey: l’espressione di sé che comporta un rischio per la salute mentale. E lei l’ha imparato a caro prezzo, a quanto pare. Ma, come suggeriscono i momenti carichi di speranza del disco, sembra aver capito che può trovare forza nelle amiche. Il che ci fa capire il motivo per cui Del Rey, che non possiamo certo considerare una pop star, è tanto importante per artiste di successo come Taylor Swift, che l’ha definita «l’artista più influente del pop» e ha detto che la sua carriera è un esempio di come le donne siano costrette a combattere per fare musica (e possederla) più duramente degli uomini.
Del Rey chiude il lavoro cantando della vera sorella, incinta del primo figlio mentre lei scriveva e arrangiava il disco. Cherry Blossom è malinconica ma in modo dolce, è Del Rey che dialoga col suo “piccolo fantasma”. L’ultimo pezzo in scaletta, Sweet Carolina, è toccante e pieno d’amore, parla di come proteggere le proprie sorelle e alleviarne le angustie. “Non avrai bisogno di scrivermi lettere perché sarò sempre qui vicina”, canta. La musica di Lana Del Rey ha spesso raccontato l’intimità come una forma di compravendita. Qui, però, l’intimità è pura.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.