In un’estate piena di film con effetti speciali è un piacere vedere Woody Allen lavorare con attori in carne e ossa che gestiscono le loro emozioni non generate al computer. Café Society non è Allen al massimo della forma, come lo era invece in Midnight in Paris (2011) e Blue Jasmine (2013), ma il film – che potrebbe essere sottotitolato Manhattan vs. Hollywood – è vivace, onesto e umano. Sono gli anni ’30, il decennio in cui è nato Allen. A una festa in piscina nella Mecca del cinema, girata con un glamour vecchia scuola grazie alla leggenda Vittorio Storaro, il potente agente Phil Stern (un bravissimo Steve Carell, che ha sostituito Bruce Willis all’ultimo momento) deve fare i conti con un irritante ricordo del suo passato newyorkese. La sorella Rose (Jeannie Berlin, esilarante) gli ha mandato un regalo da casa: il nipote nerd Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg), da poco arrivato a L.A. in cerca di lavoro.
Ci sono molti giovani attori che Allen ha diretto nel tentativo di trovare qualcuno che riproducesse il suo modo incerto di parlare – il peggiore è stato Kenneth Branagh in Celebrity, nel 1998 – ma è Eisenberg, più adatto al ruolo, a centrare l’obiettivo. (Non c’è straniamento quando il voice-over narrante di Allen passa alla voce di Bobby nel film). Il ragazzo è intontito all’inizio, poi la disillusione prende il sopravvento quando si innamora della segretaria di Phil, Vonnie (una raggiante Kristen Stewart). Vonnie è uno spirito libero che rifiuta l’aura intorno al suo lavoro, tutta name-dropping e notti di fuoco con le star – o forse no? Dopo essere stato respinto da Vonnie, che ha una storia segreta con *non ve lo dico*, Bobby torna affranto a New York. Questa volta, si mette in affari con suo fratello Ben (Corey Stoll), un gangster che gli dà in gestione un nightclub che attira le celebrità e i ricchi in cerca di brivido della cosiddetta “café society”. Con il passare degli anni, Bobby ha successo, si sposa e ha un figlio con Veronica (Blake Lively), una bellissima donna in grado di sentire qualcosa del passato di Bobby che lo tormenta. Segue il ritorno di Vonnie, un incontro malinconico a Central Park con Bobby e un’aura di doloroso rimorso che Allen racconta fin dai tempi di Io & Annie.
«La vita è una commedia», dice Bobby a un certo punto, «ma del genere scritto da un comico sadico». E in Café Society, tenuto a galla dalle performance sfaccettate di Stewart e Eisenberg, l’ottantenne Woody Allen crea un’incantevole storia d’amore girata con humor e dolore. Peter Travers
Café Society
In un’estate piena di film con effetti speciali è un piacere vedere Woody Allen lavorare con attori in carne e ossa che gestiscono le loro emozioni non generate al computer. Café Society non è Allen al massimo della forma, come lo era invece in Midnight in Paris (2011) e Blue Jasmine (2013), ma il film […]
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