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‘Cattive acque’, un legal thriller perfetto per i nostri tempi

Il regista Todd Haynes racconta la vera storia di un avvocato d'azienda (un grande Mark Ruffalo) che ha rischiato tutto per affrontare il colosso chimico Dupont
3.5 / 5

Potrebbe suonare strano che Todd Haynes, il geniale creatore di classici del cinema queer come Lontano dal paradiso, Velvet Goldmine e Carol, sia stato attirato da un legal drama tratto dalla cronaca come Cattive acque. Ma il regista affronta da maestro il genere “gola profonda”, ben rappresentato da titoli come Erin Brockovich e The Insider, e concentra il suo sguardo scrupoloso su un’ingiustizia che finisce per divorare letteralmente un essere umano. In più, ha a disposizione Mark Ruffalo, un attore che sembra possedere uno spettro illimitato di interpretazioni: chi altri potrebbe, con lo stesso impegno, lanciarsi prima in un colosso Marvel nei panni di Hulk e poi raggiungere un’eccezionale intensità drammatica in film come FoxcatcherIl caso Spotlight?

Ruffalo porta un crescente senso di indignazione morale al ruolo di Rob Bilott, avvocato di Cincinnati realmente esistito che lavora per alcune grandi aziende. Bilott si è specializzato nella difesa delle grandi compagnie chimiche: Dupont è uno dei suoi clienti. In altre parole, è l’avvocato meno indicato da ingaggiare, quando un potenziale cliente piomba nel suo elegante studio e lo prega di fare la parte di Davide contro Golia, rappresentato dalla stessa Dupont. Quel cliente è Wilbur Tennant (il sempre pazzesco Bill Camp), un allevatore del West Virginia che accusa l’azienda di aver ucciso le sue mucche con i rifiuti tossici scaricati nel Dry Run Creek, da cui le bestie si abbeveravano. Quell’avvocato d’azienda fa dunque un salto alla fattoria per vedere coi suoi occhi quel che è successo. Ne esce scioccato, esattamente come noi: è chiaro come sono andate le cose. Improvvisamente, il caso esce dai semplici confini legali per diventare una questione personale nella vita di Bilott.

È nato un nuovo crociato della giustizia. Ma a quale costo? Il supporto offerto dalla moglie Sarah (Anne Hathaway) diventa sempre più precario. Il suo capo, Tom Terp (Tim Robbins), incoraggia l’indagine di Bilott, ma gli altri soci sono spaventati dalla sua intenzione di sputare nel piatto in cui tutti mangiano. E l’amministratore delegato di Dupont (Victor Garber) sta per perdere la pazienza. Che cosa spinge l’avvocato ad andare avanti, se il prezzo da pagare è il rischio di perdere il proprio lavoro e alienarsi moglie e figli? Sono due le domande che lo tormentano: se le acque avvelenate uccidono gli animali, che cosa possono fare agli esseri umani? E da quanto tempo la compagnia chimica sta chiudendo un occhio di fronte a questo disastro di cui è perfettamente consapevole?

Cattive acque è un titolo fin troppo generico per un film che è tutto fuorché il solito vecchio legal thriller. La sceneggiatura di Mario Correa e Matthew Michael Carnahan si rifà a un articolo uscito nel 2016 sul New York Times Magazine, The Lawyer Who Became Dupont’s Worst Nightmare. E anche se il film comprime il tempo della realtà – il caso è andato avanti per decenni – non c’è nessuna manipolazione dei fatti a rendere la durata più gestibile o la narrazione più digeribile.

Ciò che rende questo un film di Haynes, oltre alla fotografia del suo fidato e geniale collaboratore Ed Lachman, è qualcosa di intangibile e misterioso. Ai fan dell’autore verrà di sicuro in mente Safe, il classico indie del 1995 con Julianne Moore nei panni di una moglie e madre convinta di essere contaminata da un’ignota sostanza nell’ambiente. Quella sensazione di terrore pervade anche questo film, e lo rende un’opera spaventosa e senza tempo, lontana dallo stile di un docudrama. Nell’era di Trump, quando gli abusi delle aziende sono stati dimenticati in nome del profitto, siamo tutti allarmati dal prossimo attacco al nostro già fragile clima. Bilott ha agito per fermare tutto: noi che cosa stiamo facendo?

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