Chrissie Hynde ha dimostrato di essere una vera appassionata di Bob Dylan tanto tempo fa. Nel 1984 ha cantato con lui It’s All Over Now, Baby Blue a Wembley e nel 1991 gli ha dedicato una versione straordinaria in chiave gospel di I Shall Be Released al concerto del trentesimo anniversario della carriera. Ha difeso il periodo della svolta religiosa suonando Property of Jesus nei tour solisti e ha infilato Forever Young nelle ultime setlist dei Pretenders. Non stupisce che abbia inciso un disco come Standing in the Doorway, che contiene nove cover di Dylan: è nella sua natura.
Il progetto nasce un anno fa, quando nei primi mesi di lockdown Dylan ha pubblicato a sorpresa Murder Most Foul e I Contain Multitudes. Quelle canzoni hanno ricordato a Hynde l’impatto che la musica del cantautore ha avuto su di lei e ha deciso di registrare alcuni dei suoi pezzi preferiti con James Walbourne, la chitarra solista dei Pretenders, in una serie di “video del lockdown” da pubblicare su YouTube. Ma invece di Like a Rolling Stone o Mr. Tambourine Man, la coppia ha selezionato brani meno ovvi, tra cui tanti pezzi registrati negli anni ’80, così che Hynde avesse più spazio per adattarli alla sua voce e al suo stile.
In Sweetheart Like You, un brano morbido e per certi versi un po’ sessista di Infidels, il disco di Dylan del 1983, Hynde canta il testo esattamente com’è scritto («una donna come te deve restare a casa, è il posto a cui appartieni»), ma gioca con le smancerie del ritornello («che ci fa una bellezza come te in un posto simile?») mettendosi in una posizione di vantaggio. La cantante coglie perfettamente anche lo humour nascosto in Don’t Fall Apart on Me Tonight, una splendida canzone d’amore contenuta anch’essa in Infidels, in cui canta «non cadere a pezzi con me stasera, non credo che ce la farei», come se volesse dire al destinatario del pezzo di rimettersi in sesto, sì, ma solo per non disturbarla. Al posto dei ritmi reggae di Sly & Robbie, Hynde e Walbourne danno al pezzo un’atmosfera gospel-rock, un suono perfetto per la sua interpretazione, qualcosa in più di una semplice cover.
Poi, quando arriva il momento del dramma di You’re a Big Girl Now, da Blood on the Tracks, Hynde rimpiazza l’atmosfera jazzata dell’originale con chitarre acustiche alla Rolling Stones e canta il testo con un certo sarcasmo. E poi le urla del ritornello sono più sensuali che doloranti, come invece le cantava Dylan, e al posto dell’armonica c’è un assolo di organo.
Nella cupa Standing in the Doorway Hynde mantiene l’atmosfera del disco del ’97 di Dylan Time Out of Mind, ma la rielabora a modo suo. Fa un grande respiro prima di dire «mi hai lasciato all’ingresso, a piangere sotto la luna di mezzanotte». Canta con apprensione sincera e in modo talmente personale da far brillare la cover. Il modo in cui rilegge le parole di Tomorrow Is a Long Time, versi come «se domani non fosse un tempo così lungo, allora la solitudine non significherebbe nulla per te», con sullo sfondo i fiati e la chitarra acustica, trasforma il pezzo un perfetto inno del lockdown.
La migliore, però, è Blind Willie McTell, una outtake cupa da Infidels, una canzone in cui la storia dello schiavismo americano è messa in connessione con la musica blues. Walbourne suona il piano, l’harmonium, la chitarra acustica e il mandolino in modo da catturare il tono severo del brano, senza però scivolare nel melodramma, mentre Hynde evoca gli orrori del testo con un timbro a metà tra il pianto e il singhiozzo. È una delle incisioni migliori di tutta la sua carriera.
La cosa più interessante di Standing in the Doorway, però, è la facilità con cui è stato prodotto. Le cover dei Pretenders sono sempre state sottovalutate, anche se la band ne fa dai tempi del primo singolo (Stop Your Sobbing dei Kinks) e Hynde ha sempre cercato di scoprire cos’ha in comune con certe canzoni, giocandoci su. Se ci aggiungiamo il fatto che questo disco è nato durante il lockdown, allora forse lei e Walbourne hanno scoperto che il domani non dev’essere per forza un tempo così lungo e che se fossero riusciti a trovare conforto nelle opere di Dylan allora davvero, come dice lui, la solitudine non significa nulla.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.