Da un decennio ormai la canadese Tamara Lindeman pubblica coi Weather Station canzoni intense e introspettive in dischi sempre più lontani dal folk da cameretta del primo The Line (2009). Fin dall’inizio Lindeman ha messo a punto una sua personale versione cruda e deviata di un linguaggio tradizionale. Come in Thirty, una canzone del disco di debutto, in cui un sogno a occhi aperti su un abbraccio si trasforma in una riflessione/ricordo su antidepressivi, stazioni di servizio e la forza del dollaro canadese.
Se l’album The Weather Station ha fatto conoscere Lindeman come autrice adatta anche al grande pubblico, il nuovo Ignorance fa della 36enne una delle penne più audaci e creative nel panorama della canzone d’autore. Questa raccolta di 10 canzoni allarga la tavolozza sonora del gruppo con fiati svolazzanti, vivaci arrangiamenti orchestrali e, soprattutto, una sezione ritmica propulsiva. Nell’album, coi suoi pianoforti glaciali, i ritmi dance e le secche esplorazioni noir folk, sembra di sentire una Joni Mitchell millennial che interpreta versioni jazz di LCD Soundsystem o dei National, a seconda del brano.
Molte delle canzoni di Ignorance offrono un approccio alternativo all’arte complessa di raccontare storie con le canzoni. A metà album, nella pulsante Parking Lot, Lindeman racconta della paura da palcoscenico che ha provato fuori da un club dove doveva esibirsi. “Confesso, non voglio mettere a nudo queste sensazioni”, canta spiegando perché non vuole farlo su un palco. “Non sono una poeta che si svela”.
Lindeman ha spiegato che per buona parte Ignorance è ispirato alla crisi climatica. Il disco, però, è tutto meno che pedante. La cosa più vicina a una canzone sulla catastrofe che incombe sul pianeta è Tried to Tell You, in particolare il passaggio in cui dice di sentirsi “inutle come un albero in un parco cittadino / il simbolo immobile di quel che abbiamo distrutto”.
Nella maggior parte dei casi, Lindeman tratta Ignorance come un breakup record con protagonista non un amante, ma un pianeta morente. Si aggrappa a quella che a un certo punto descrive come “la fragile idea che tutto conti”. A volte questo significa godersi la bellezza della natura mentre tutto cade a pezzi (Atlantic), altre affrontare l’avidità e la fine dell’innocenza (Robber), altre ancora un lutto. A metà di Loss, una canzone che parla di cosa succede quando l’ottimismo non basta più per sopravvivere, Lindeman chiarisce i temi dell’album in un passaggio che ricorda il climax di Madame George di Van Morrison: “Ciò che è perso è perso, è perso, è perso”, canta, come se ogni parola fosse un funerale, “è perso, è perso, è perso”.
Qualche brano dopo arriva Heart, la penultima canzone in scaletta e anche la più luminosa del disco. Lindeman canta di voler “sentire ogni perdita”, ma non si lascia annebbiare dal lutto e dal cinismo. Mentre fugge in una città su cui è calata la notte, ci sfida a fare lo stesso, a ballare fino a trovare una cura. “Ci sono tante cose che potreste chiedermi”, dice a se stessa, ai suoi fan, alle persone che ama, ai politici senza scrupoli e a chi inquina il pianeta. “Ma non chiedetemi di essere indifferente”.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.