“Ho vissuto e ho imparato”, canta Taylor Swift alla fine della versione estesa e ri-registrata di Fearless, l’album della svolta del 2008. Poco meno di due anni fa, Swift ha annunciato che avrebbe inciso di nuovo il suo vecchio catalogo così da riprenderne possesso dopo che i master degli album edito dalla Big Machine erano stati acquistati dal magnate Scooter Braun. L’obiettivo di quest’operazione tanto ambiziosa è evidente. Parafrasando il testo di Tim McGraw, quando pensi a Fearless, Swift spera che si tratti della Taylor’s Version.
I musicisti ri-registrano parte del loro catalogo a causa di dispute con le etichette da quando esiste il music business. Ma non ci sono precedenti che riguardano artisti di alto profilo come Swift che si occupano del progetto con budget, ambizioni e fervore creativo solitamente associati ai blockbuster della musica. Nel farlo, Swift ha trasformato una pratica decisamente poco romantica in una celebrazione della creatività: questo progetto è in parte il sogno proibito di ogni fan, in parte una ristampa d’archivio (una sorta di The Bootleg Series – Taylor’s Version), in parte una rivincita.
Swift è partita da Fearless, l’album che l’ha trasformata in una star toccando vari generi. “Non potrebbe andare meglio di così”, canta nella traccia d’apertura, una frase che oggi suona come una provocazione. Al contrario di quanto accade solitamente, le nuove versioni sono più sporche degli originali. A volte la voce sembra più bassa nel mix, ma in generale sembra che Swift abbia usato ogni mezzo per replicare i suoni puliti di Nashville e le atmosfere del vecchio Fearless; ha ingaggiato molti musicisti che hanno suonato nell’originale, persino Colbie Caillat (un’influenza decisiva sul disco) per rifare i cori di Breathe.
È ovvio che Swift ha studiato lo stile vocale di quel disco, è arrivata al punto di ricreare le risate e i singhiozzi di Hey Stephan. La sua voce da trentenne, però, è più ricca, profonda e sicura. Riesce a replicare i vezzi della sua fase country, ma solo fino a un certo punto: nella B side Come in With the Rain, per esempio, non cerca più di fare in modo che “back” faccia rima con “laugh”.
Swift ha ragioni nobili per ri-registrare il suo vecchio catalogo, ma tutta la libertà del mondo non sarà mai abbastanza. Come spesso succede con gli artisti che cercano di rifare i loro vecchi dischi, per quanta cura uno ci metta è impossibile non notare il portato emotivo e le idiosincrasie adolescenziali dell’originale, in tutta la sua gloria tintinnante e perfetta per le radio country: il modo in cui, nel 2008, la voce di Swift sembrava uno strano mix tra Regina Spector e Shania Twain mentre cantava You Belong With Me, o il testo del melodramma Fifteen. Sono cose possibili solo per una diciottenne in preda a una nostalgia prematura, una ragazza per cui tre anni valgono una vita intera.
La mezza dozzina di bonus track inedite rivelano come funzionava il processo creativo di Swift. C’è il fraseggio vocale di We Were Happy che ricorda The Moment I Knew, dal periodo di Red, o la frase “casualmente crudele” di All Too Well del 2012, provata tre anni prima in Mr. Perfectly Fine. Le altre canzoni, come You All Over Me e That’s When, sembrano estranee al continuum spazio temporale della discografia di Swift: qui Jack Antonoff e Aaron Dessner, i collaboratori dell’ultima fase della sua carriera, si confrontano con lo stile a metà tra il country di Nashville e il pop. C’è anche una collaborazione con Keith Urban – non è la prima, ricordate Highway Don’t Care? –, e la prima volta in cui Aaron Dessner ha aggiunto loop di batterie elettroniche in una canzone (You All Over Me) firmata da un tizio (Scooter Carusoe) che di solito scrive per Brett Eldredge.
E poi ci sono canzoni che sembrano più commoventi oggi che 13 anni fa. Prendete Change, che Swift canta con forza e consapevolezza. Aveva iniziato a scriverla pensando ai primi passi con la Big Machine e si è convinta a finirla dopo aver visto il boss dell’etichetta Scott Borchetta in lacrime dopo il suo primo CMA Award. Oggi il significato è ribaltato e il brano riflette su come Big Machine sia diventata parte del sistema fraudolento che la giovane Swift pensava di poter conquistare. “La battaglia è stata lunga… stanotte siamo tutti eroi”, dice. E cosa potrebbe mai fare Taylor Swift con tutta questa gloriosa ironia? Canta alleluia.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.