Nas, la recensione di ‘King’s Disease’ | Rolling Stone Italia
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Dal Queensbridge alle accuse di violenza: ‘King’s Disease’ di Nas è un disco complicato

Nei momenti migliori, il nuovo album del rapper aggiorna le storie dal sottomondo gangsta di ‘Illmatic’. Nei peggiori, suona come il tentativo maldestro di mettersi alle spalle le accuse di violenza avanzate dalle ex

Nas

Foto press

Nel capolavoro del 1994 Illmatic, Nas raccontava le tentacolari case popolari di Queensbridge e le emozioni e anche la disperazione dei giovani neri che vivevano nella New York guidata da David Dinkins. Lo faceva con il giusto per il dettaglio e la grandiosità dell’insieme degno del Giardino delle delizie di Bosch. Non è più riuscito a fare un altro Illmatic. In compenso, non ha mai smesso di attingere a quel tipo di materiale.

I punti forti di King’s Disease, il primo vero album album di Nas dal 2012, sono i pezzi in cui rievoca le esperienze formative fatte nel periodo compreso tra la fine degli anni ’80 e metà anni ’90. Sono istantanee di vita adolescenziale che Nas trasforma in vignette lucide e vivide. I versi d’apertura di Blue Benz ricordano la prima mitica scena del film Belly: un locale, la pelle che ribolle, sorsate di Moët & Chandon. In Car #85, che prende titolo dal servizio di noleggio auto preferito dai truffatori della generazione di Nas, si fa un giro lungo il viale dei ricordi: “Questa è New York, White Castle a mezzanotte / Panini al pesce, alcol e scazzottate”. La produzione di Hit-Boy, che intreccia abilmente fiati nebulosi, campioni di soul filtrati, beat pacati e parecchio pianoforte, rappresenta uno sfondo particolarmente adatto in queste fantasticherie nostalgiche.

L’orgoglio nero e la rabbia di Nas animano gran parte di King’s Disease ed emergono in particolare quando il rapper collega presente e passato. Racconta il mondo post George Floyd evocando il famigerato disegno di legge del 1994 che definiva i giovani neri “super predatori”, il trauma emotivo che nemmeno il successo può cancellare, la morte nel 2020 di Kiing Shooter, il rapper ventisettenne di Queensbridge che era sotto contratto con la sua etichetta.

King’s Disease a volte funge da rubrica di consigli. Le perle di saggezza versione gangster dispensate dal rapper sono molte e diverse. In ognuna c’è un cattivo. “La parte più stupida dell’Africa ha prodotto i neri che hanno inventato l’algebra”, afferma nella title track. In 10 Points è invece mosso dall’idea di dispensare buoni consigli ai ragazzi di strada: prendete un avvocato, dice, leggete i contratti e cercate di magiare.

Ma il cattivo più grande di tutti è la misoginia di Nas. Il rapper passa metà del disco a citare uomini d’ogni tipo – miliardari, dirigenti discografici, pionieri della dancehall, cestisti, i Beatles, il suo allenatore di pugilato, i suoi ragazzi – e passa l’altra metà a desiderare donne che sappiano stare al loro posto. Mette nel mirino Doja Cat e in The Definition s’infervora toccando l’argomento Gayle King, la giornalista televisiva che ha tirato fuori le accuse di stupro ai danni di Kobe Bryant il giorno della sua morte. Alla luce delle accuse di abusi domestici avanzate dall’ex moglie Kelis nel 2018, Replace Me e All Bad sono riflessioni generiche sulle storie d’amore finite male e sembrano messe lì apposta per dimostrare che anche lui ha avuto relazioni normali.

Nas ha negato con forza le accuse di Kelis e di un’altra sua ex, Carmen Bryan. Quest’ultima scriveva nel 2006 della loro relazione: «Mi ha colpito improvvisamente con un pugno in faccia, l’impatto è stato talmente violento da farmi vedere le stelle». In King’s Disease Nas non solo continua a smentire queste accuse, ma ci mette anche un po’ di vittimismo maschile. A meno di un minuto dall’inizio dell’album attacca la cancel culture e prende di mira Kelis, che avrebbe inventato le storie di abusi per dispetto. In Til the War Is Won, un omaggio alle donne nere, punta il dito contro “i codardi che ti picchiavano”, per poi aggiungere: “io mai”. Si può discutere sulla sincerità di Nas. In ogni caso, sembra dispiaciuto. Dice che le donne vogliono colpirlo duro, ma non coglie l’ironia della frase.

Nei momenti migliori, King’s Disease è una versione patinata di Illmatic, una fotografia di Queensbridge arricchita da nuovi personaggi e aneddoti. Quando si muove su questo terreno, Nas è in gran forma come rapper e come narratore. Nei momenti peggiori, il disco suona come il tentativo maldestro di mettersi alle spalle le accuse di abusi e un riflesso del suo atteggiamento sempre più discutibile nei confronti delle donne. Ventisei anni dopo Illmatic, Nas può ancora crescere.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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