Se ti sei dato il compito di interpretare con un film la mente speculativa di un genio indiscusso, può essere utile non fare troppe mosse stupide. Fatta questa premessa, considerate pure un trionfo Steve Jobs, un film così innovativo e sorprendente nella concezione e nella realizzazione da lasciare intimoriti.
Michael Fassbender si muove benissimo nel ruolo del vulcanico cofondatore e amministratore delegato di Apple, un uomo pessimo nelle relazioni interpersonali, ma capace di volare altissimo quando si tratta di rivoluzionare il mondo del personal computer e di qualsiasi altra cosa digitale, dalla musica all’animazione (con la Pixar) all’editoria, fino a quegli iPhone che oggi indossiamo come se fossero una seconda pelle. Il Jobs di Fassbender è un tornado di ferocia, rabbia e sentimenti repressi. È anche affascinante, seducente e divertente, cosa che lo rende ancora più pericoloso se ci si avvicina troppo.
La sceneggiatura, scritta da Aaron Sorkin, premio Oscar per The Social Network, è assolutamente brillante. Sorkin non ha solo seguito la biografia bestseller di Walter Isaacson: l’ha assorbita nel suo Dna, e la racconta con una struttura coraggiosa e un punto di vista molto personale. Ha diviso il film in tre periodi, che raccontano ognuno la storia del lancio di un prodotto creato da Steve Jobs, girati in tre formati diversi da Boyle con l’aiuto del talentuoso direttore della fotografia Alwin Kuchler. La prima parte è in pellicola 16mm a bassa risoluzione ed è ambientata nel 1984 a Cupertino, California, dove il 29enne Steve Jobs crea il primo Macintosh. La seconda, in 35mm, si apre con il convegno alla San Francisco Opera House del 1988, in cui Jobs, scaricato da Apple, presenta il NeXT nell’indifferenza generale. L’ultima parte, girata in digitale ad alta definizione, si svolge nel 1998 alla Davies Symphony Hall di San Francisco, in cui Jobs, di nuovo alla guida di Apple, annuncia con una spettacolare presentazione il nuovo iMac. Come Jobs, che aveva sempre fretta di fare la prossima cosa, Sorkin lascia a voi il compito di stare al passo della storia. Ma è una sfida che vale la pena di raccogliere.
Complimenti al maestro Danny Boyle (Trainspotting, Slumdog Millionaire, 127 Ore) per aver diretto i tre atti della sceneggiatura con il ritmo serrato di un thriller. Boyle sa anche come riempire gli spazi (pochi) tra le parole e rivelare le emozioni delle moltitudini di persone che sono entrare e uscite dalla vita tumultuosa di Jobs. Sorkin muove i personaggi su una scacchiera (ricorda Birdman), senza preoccuparsi troppo di verificare se fossero davvero presenti durante alcune delle sfuriate di Jobs, ma facendo sempre in modo che le loro azioni e reazioni riflettano una verità spesso dura e scomoda.
Gli attori non potrebbero essere più bravi a recitare un duello lungo 14 anni contro l’uomo che si è paragonato a Giulio Cesare, un imperatore circondato da nemici. Un superbo Seth Rogen svela il cuore ferito di Steve “Woz” Wozniak, il cofondatore di Apple che non riesce a prendere alla leggera il rifiuto di Jobs di riconoscere al suo team il successo del modello Apple II. E Jeff Daniels, attore icona di Sorkin nella serie HBO The Newsroom, riesce a interpretare ogni sfumatura della personalità di John Sculley, l’amministratore delegato di Apple, che licenzia Jobs dando il via alla sua crudele vendetta. Ma c’è qualcuno che riesce ad addomesticare questo feroce perfezionista? La direttrice marketing di origine polacca Joanna Hoffman, ci va vicino. Interpretata da una Kate Winslet da Oscar, in grado di irradiare coraggio e grazia in egual misura, Hoffman è l’unica persona che dà filo da torcere al capo. È lei che rimprovera il miliardario Jobs per aver lasciato in miseria la sua ex amante Chrisann Brennan (Katherine Waterstone) e per la sua ostinazione nel non voler riconoscere la paternità di sua figlia Lisa, 5 anni.
Sorkin non è mai tenero con il protagonista, figlio adottivo con l’orribile tendenza a tenere distanti le persone più care. Ma Fassbender ci fa anche intravedere la sua umanità. Quello che non vediamo è lo Steve Jobs più vecchio e ancora più ricco, sposato con Laurene Powell e padre di tre figli, che ha creato altri miracoli marchiati Apple, ha combattuto il cancro al pancreas, che ha consumato il suo corpo e per il quale è morto nel 2011 a 56 anni. Il film punta a catturare l’uomo dietro Steve Jobs, e raccontarlo durante tre momenti pubblici in cui persone che hanno definito la loro vita in relazione alla sua si sono manifestate all’ultimo minuto per dargli una sonora punizione. Duro? Sì, lo è. Ma è indispensabile, per parlare di un pioniere che ha creato prodotti dal rivestimento immacolato ed elegante per nascondere tutti gli intricati circuiti all’interno. Steve Jobs ci fa vedere per la prima volta questi circuiti interiori, senza mai sminuire la figura del ribelle e visionario che ha cambiato la nostra vita digitale, e continua a farlo ancora oggi.