Dunkirk, il nuovo film di Christopher Nolan, è monumentale dalla prima all’ultima inquadratura: la seconda Guerra Mondiale non è mai stata uno spettacolo visivo così impressionante (andate a vederlo in IMAX, se potete), colpisce dritto al cuore.
Nolan è un virtuoso della macchina da presa, e qui ha sfruttato i suoi poteri per rompere tutte le regole del genere: avete mai visto un blockbuster sulla guerra che racconta una delle sconfitte più sonore mai ricevute dagli Alleati? E chi, se non Nolan, nato a Londra da papà inglese e mamma statunitense, sarebbe riuscito a girare un film così senza gli americani?
La storia è ambientata nel 1940, quando gli yankees non erano ancora entrati in guerra. Ci sono 400.000 tra inglesi, francesi, canadesi e belgi, tutti intrappolati nelle spiagge della piccola città francese di Dunkirk; aspettano l’evacuazione, unica alternativa allo sterminio per mano delle armate di Hitler. I soldati alleati sono nascosti, intrappolati in una morsa di terrore che il regista è riuscito a rendere palpabile, quasi come se prendesse vita fuori dallo schermo.
Per non parlare dell’ironia brutale di dover vedere il Canale Inglese, la salvezza, a poche miglia di distanza. Le acque sono troppo poco profonde per il passaggio delle navi: per salvarsi da quella situazione serve un miracolo, in questo caso una mini-armata guidata da civili. E un miracolo è quello che vediamo sullo schermo.
Tolto Following, l’esordio di Nolan del 1998, Dunkirk è il film più breve della sua carriera. Quello che è riuscito a fare – oltre a ridurre al minimo indispensabile i dialoghi – è stato ridurre all’osso tutti i retroscena andando dritto al punto. Siamo nel mezzo della battaglia, proviamo le stesse cose che provano quei giovani soldati mentre si confrontano con il terrore della morte imminente e con i boati improvvisi delle bombe. Momenti di pura adrenalina, cinema da far scoppiare il cuore nel petto. La sensazione di urgenza che pervade il film toglie il fiato. E se siete tra quelli che criticavano Nolan per il casino combinato con la cronologia di Memento e Inception, aspettate di vedere le acrobazie che fa qui per far vedere al pubblico lo stesso evento da prospettive temporali diverse.
Fionn Whitehead, praticamente un esordiente, interpreta un Tommy eccellente, rappresentazione perfetta di tutte le giovani reclute intrappolate su quella spiaggia. Insieme a lui altri due soldati – Gibson (Aneurin Barnard) e Alex (Harry Styles, la sua interpretazione è tanto ricca di grazia quanto priva di qualsivoglia vezzo da popstar). Vogliono arrivare fino al molo, dove le navi aspettano gli ordini del Comandante Bolton (Kenneth Branagh) e del Colonnello Winnant (James D’Arcy). Tommy ha un piano: vuole una nave ospedaliera. Come prevedibile, però, tutto quello che può andare storto lo farà. Nolan non mostra mai il nemico: i suoi nazisti sono tanti astratti quanto letali.
Contemporaneamente, nel cielo, gli aerei Spitfire hanno il compito di dare copertura ed eliminare i bombardieri della Luftwaffe. Dunkirk si concentra su Farrier, un pilota della Royal Air Force interpetato da Tom Hardy (spesso coperto da una maschera, quasi una citazione a Bane). Le sequenze aeree sono diverse da qualsiasi cosa abbiate mai visto, Nolan porta il suo sguardo nel blu più sconfinato, niente green screen e niente effetti digitali. Ti porta proprio lì, in mezzo a queste battaglie sconvolgenti, e l’esperienza è tanto spaventosa quanto eccitante.
La storia di Dawson (il premio oscar Mark Rylance) è ambientata in mare: il soldato manovra il suo yacht, il Moonstone, attraverso il Canale, con l’aiuto di suo figlio (Tom Glynn-Carney) e di un giovane del posto (Barry Keoghan) ansioso di partecipare alla battaglia. Il cast è superbo, ma questo non è un film che ha bisogno di star: è una pellicola altruista con un cast corale come tanti altri.
Ed è così che deve essere. L’ultima opera di Nolan è soprattutto una celebrazione dell’eroismo collettivo, quello “spirito di Dunkirk” che ha permesso ai soldati di resistere un giorno dopo l’altro. Come dirà successivamente Winston Churchill, “le guerre non si vincono con le evacuazioni”. Se Hitler avesse sconfitto la resistenza incontrata su quelle spiagge, oggi il nostro mondo somiglierebbe in maniera preoccupante a quello della Svastica sul Sole.
È impossibile esagerare l’importanza di questa battaglia, soprattutto per gli inglesi. Il suo significato potrebbe sfuggire a parte del pubblico – penso in particolare a chi vive nell’America di Donald Trump -, ma Nolan è riuscito a fare un film che parla di esseri umani che formano un legame fortissimo sulla base di un dolore comune. Certo, tutto si regge sulle scene d’azione e sulla gestione della tensione in perfetto stile-Hitchcock, ma i momenti più intimi sono altrettanto emozionanti. A differenza dei picchi violenti della Normandia di Salvate il Soldato Ryan, qui Nolan racconta la storia e la tragedia della guerra usando solo le facce dei suoi attori.
Per raccontare tutto nella maniera più realistica possibile ha rinunciato a ogni tipo di trucco elettronico. Tutti gli effetti speciali sono stati costruiti sul set, sfruttando migliaia di comparse e tutti i veicoli a disposizione della produzione. L’impatto è incalcolabile e indimenticabile. Un applauso al direttore della fotografia, al montatore e al solito Hans Zimmer, sono riusciti a reggere il ritmo spezza-collo della pellicola senza mai dimenticare l’importanza dei personaggi.
Questo non è un film politico, o un biopic sui personaggi dell’epoca. Anzi, lo stesso Nolan sostiene di aver fatto un film sulla sopravvivenza, non sulla guerra. Ha ragione. Ma non ci sono dubbi che sia riuscito, senza sentimentalismi o sermoni, a trasformare il genere in pura arte. Dunkirk è una pietra miliare con la forza di un classico intramontabile. La corsa per il premio Oscar è ufficialmente iniziata.