Ballate sovrappensiero quelle di Giorgio Poi, che prima di essere cantautore italiano ha fatto il musicista indie e nemmeno vive più tanto in Italia. Ma ne ha nostalgia – dice – e la nostalgia talvolta produce la sua scrittura sonnambula: “Ho comprato una sveglia che non mi serve/ tanto non ho niente da fare” (in Paracadute). Frammenti che escono da una radio accesa nell’altra stanza, chiedono attenzione e allo stesso tempo si negano, come fanno molto spesso i cantautori. Canzoni strapiene di parole che “ti si fermano tutte a metà tra i denti / chilometri di filo interverbale per poterle pronunciare” secondo una delle invenzioni che alla fine più ti resteranno in mente (Niente di strano). Canzoni che si interrogano sulle parole. Ballate sghembe (cioè in definitiva psichedeliche, alla Ariel Pink, alla Lucio Battisti, comunque di secondo grado) per le derive e i trabocchetti armonici delle quali sono disseminate – Giorgio ha studiato chitarra jazz – ma tutto con grande naturalezza. Drammi da cameretta, tutt’al più sotto casa e da lì al limite ci spinge al bar. Ballate ingannevoli perchè non hanno mai neppure veramente un inizio e una fine, prese come sono nel flusso di pensieri della stessa coppia lui-lei – pigramente autobiografica – che “si potrebbe restare a parlare dentro a un bar”, “entriamo in cinema per dormire un po”. E naturalmente “hai detto prendo tutto e vado via/ con quello che puzza di naftalina”. Cose che capitano. Nelle canzoni, nei pensieri. Che forse non capitano mai veramente.