Il problema di Marianne Faithfull è che è totalmente out of time. Nessuno più canta «Dis-gust me!» come lei fa in Mother Wolf, uno dei vertici emotivi del suo 20esimo album, Give My Love to London.
Ma che cavolo di titolo è poi, tipo: «Omaggi alla signora»? Qui è la grande dama del rock&roll che manda i suoi saluti a quei lavativi dei londinesi; è il pezzo d’apertura, ottimo country crepuscolare.
Non si usa più metterci tanta anima nelle cose, bastano Lexotan e Autotune e passa la paura. Invece lei si è spaccata il culo e ha fatto un album grandioso e anacronistico. Meglio: si è fratturata l’osso sacro, è stata a letto per sei mesi e per ingannare il tempo ha pensato di scrivere qualche canzone.
Intanto, a portarle rose, cioccolatini e linee melodiche su cui appoggiare le sue liriche, passava gente come Nick Cave (Late Victorian Holocaust), Anna Calvi (Falling Back), Roger Waters (Sparrows Will Sing). Ad accompagnarla in studio, due Bad Seeds, Adrian Utley dei Portishead e i due produttori Rob Ellis e Dimitri Tikovoi. Il termine “capolavoro tardivo” non è fuori luogo per una che è in giro da mezzo secolo.