A Perfect Circle, la recensione del nuovo album ‘Eat The Elephant’ | Rolling Stone Italia
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Gli A Perfect Circle non sono il contentino dei Tool

Mentre tutti sono in attesa di un album che sembra non arrivare mai, Maynard James Keenan è tornato con il suo progetto parallelo e un grande disco che è anche un omaggio a Cure e David Bowie.

Forse Maynard James Keenan a un certo punto si è rotto di rispondere alle domande sul nuovo disco dei Tool, e così ha fatto un nuovo album con A Perfect Circle, che mancavano dal bizzarro album di cover anti-guerra eMOTIVe, del 2004. Ma Eat the Elephant è un contentino? Nemmeno per sogno.

È uno di quei dischi che sembrano già classici, dove non sembra esserci nemmeno una canzone minore (se proprio si vuole cercare un punto debole, il fan duro e puro lo troverà in So Long, and Thanks for All the Fish, quasi radio-friendly con quel suo attacco di cassa dritta e la melodia in maggiore. Ma noi i fan duri e puri li abbiamo sempre trovati noiosissimi).

L’impressione iniziale è che con Eat the Elephant la premiata coppia Keenan-Howerdel (il secondo mai così esplicito nell’omaggiare i Cure) si sia un po’ ammorbidita: la splendida e delicata title-track, l’umorale The Contrarian, la citata So Long, un omaggio alle star che se ne sono andate in questi anni, da David Bowie a Muhammad Ali a Carrie Fisher. Ma è soprattutto una questione produttiva: sono spariti i riverberi anni ’90 dei dischi precedenti, a favore di voce e sezione ritmica. E The Doomed e TalkTalk riportano subito i muri di distorsione e le urlate di Keenan che tanto ci mancavano.

Il cantante ha dimostrato in questi anni di non avere figli minori: A Perfect Circle e Puscifer (l’altro suo side project) sono parti opposte e complementari della sua complessa personalità e del suo enorme talento. Il disco dei Tool arriverà. Ma intanto Eat the Elephant ci rende l’attesa molto meno dura.

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