Il terzo disco degli Avalanches è l’esempio perfetto di aspettative basse nella musica pop. Il debutto del gruppo elettronico australiano Since I Left You aveva portato l’arte di costruire musica a partire dai sample a un altro livello. Quello strano collage era uno dei dischi più interessanti degli anni Zero. La band ci ha fatto ascoltare nuova musica dopo quasi due decenni e quando l’ha fatto, nel 2016, è sembrata superata. Wildflower era un mix di voci, effetti e beat meno interessante, privo di un centro coerente. All’improvviso, i loro collage sembravano residui di un’epoca passata.
Se Wildflower era la playlist più caotica del mondo, We Will Always Love You ha, come si dice di questi tempi, un algoritmo migliore. Ora gli Avalanches sono un duo (Robert Chater e Anthony Diblasi), ma sono altrettanto devoti al crate digging, scopritori di musica oscura del passato. Con una differenza: questa volta i sample lasciano più spazio agli arrangiamenti post-trip hop e alle voci degli ospiti, che insieme danno vita a un pop ricombinato gioioso e naturale.
Dice il duo che l’album gira attorno ai temi della luce, del cosmo, del pensiero dell’astronomo Carl Sagan (famoso per il programma tv Cosmo). Seguire il concept è un filo più complesso che decifrare la trama di Quadrophenia, ma è innegabile che il disco sia avvolto da un’aura luminosa. Prendete Interstellar Love: è sì costruita su un sample di Eye in the Sky dell’Alan Parsons Project, ma a colpire sono la voce nostalgica di Leon Bridges e come il groove EDM in stile Avicii. In Reflecting Light, Sananda Maitreya, ovvero Terence Trent D’Arby, racconta la lotta con le dipendenze su un sample della musicista folk inglese Vashti Bunyan, mentre in We Will Always Love You c’è Dev Hynes, aka Blood Orange, in piena modalità mumble core. Il sample, con le voci acid folk delle Roches che cantano il classico Hammond Song, sembra messo lì per rassicurarlo.
In passato, accoppiamenti del genere sembravano forzati, quasi sfacciati. Questa volta, forse grazie a fattori extra musicali come la disintossicazione di Chater, gli Avalanches sembrano alla ricerca di musica ed emozioni più profonde. Queste canzoni meditative sono il risultato della loro ricerca. Più avanti nel disco le emozioni sono ancora più crude e raggelanti: in Dial D for Devotion, Karen O recita dei versi (“La luce della mia vita si spegnerà stanotte / Senza un barlume di rimpianto”) del cantautore indie David Berman dei Silver Jews, che l’anno scorso si è suicidato.
C’è anche voglia di divertimento in pezzi di disco music moderna e leggera trovata da fonti vecchie e nuove. Music Makes Me High è costruita su un coro gospel e un frammento di un oscuro pezzo disco anni ’70 di Salt Miller, mentre Oh the Sunn!, su cui canta Perry Farrell, sembra danzare nell’aria. Chiudete gli occhi e vedrete John Travolta che balla al 2001 Odyssey.
I pezzi migliori nascono da una fonte insospettabile: l’alternative rock. Rivers Cuomo non è mai sembrato tanto ironico e distaccato come in Running Red Lights, dove canta nostalgico su un beat EDM. Allo stesso modo, Andrew VanWyngarden e Ben Goldwasser degli MGMT, insieme a un sample delle Shirelles, trasformano The Divine Chord in yacht disco.
Non tutti gli accoppiamenti funzionano. Tricky suona stranamente annoiato in uno dei due brani a cui ha partecipato, Until Daylight Comes, e il promettente duetto tra Neneh Cherry e Jamie xx Wherever You Go è un brano spaziale che dura troppo, anche quando Jamie alza i BPM. Eppure We Will Always Love You sembra proprio la colonna sonora di cui abbiamo bisogno nel mondo post-Trump: musica che crea ponti tra persone, emozioni ed epoche.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.