«Siamo onesti, un sacco dei vostri contatti qui sopra e sugli altri social possiede, o ha posseduto, o ha almeno una volta desiderato di possedere, una maglietta dell’Hard Rock Cafe» leggo questo status facebook del critico musicale Francesco Farabegoli mentre ascolto il nuovo disco degli Hollywood Vampires e penso che sia una bella coincidenza oltreché una verità assoluta.
Anzi colgo l’occasione per fare coming out e ammettere che anche io ho posseduto una maglietta dell’Hard Rock Cafe, per l’esattezza l’edizione speciale del 2006 di quello di Barcellona. Potrebbe essere il nuovo gioco dell’estate: #HardRockCafeChallenge, ognuno pubblica una foto in cui indossa quella fatidica maglietta. Ma in fin dei conti, perché? Boh, vabbè.
Insomma, il secondo album della super band composta da Joe Perry, Johnny Depp e Alice Cooper, ma anche tutto il progetto in sé, l’estetica, il messaggio, sono un gigantesco monumento al rock’n’roll e nello specifico proprio all’hard rock, tanto trash e tracotante, quanto in un certo senso puro e enciclopedico nel senso positivo del termine, oltreché divertente e di grande intrattenimento, proprio perché tutti almeno una volta abbiamo indossato quella maglietta e incarnato il simbolo che rappresenta.
Gli Hollywood Vampires in fin dei conti non fanno niente di male e anzi sono la versione vip e dai palcoscenici internazionali garantiti, di un comunissimo gruppo di amici tanto adolescenti quanto adulti, che dedica parte del proprio tempo libero a chiudersi in una sala prove, a collegare tutti i cavi, scolarsi qualche birra finché non ci si lancia andare in qualche virtuosismo nella tipica posa a gambe larghe e con la smorfia sulla faccia. Sapete bene a cosa mi riferisco.
Come sempre si comincia con qualche cover e poi un po’ per gioco, tra una prova e l’altra, esce fuori qualche pezzo e la scintilla è già diventata un incendio. Rise infatti racchiude quell’incendio e conta molti più pezzi inediti del suo predecessore, mantenendo come cover una cosetta da niente come Heroes, e poi People who died e You can’t put your arms around a memory, una per ogni membro del gruppo. Tutti gli altri brani sono un tributo continuo alle chitarre, alle bocche spalancate fronte palco, al sudore della folla, perché per chi non avesse avuto notizie dei concerti precedenti, sappia che i vampiri non scherzano affatto, anzi sono energia pura.
Per quanto recitino bene il ruolo, i tre non si prendono troppo sul serio, proprio per questo hanno allestito al meglio uno spettacolo che è un po’ l’elevazione all’ennesima potenza di quella maglietta: essere degli umili servitori del rock, dei testimoni, degli apostoli, perché anche se non è più tanto di moda, rimane la cosa più cool che l’umanità abbia diffuso in tutto il mondo e dovremmo esserne orgogliosi.